Queste righe vengono scritte riportando un’esperienza vissuta tra ticket e demagogia (sanitaria, si sarà intuito) italiana. La storia inizia quasi quattro anni fa con un piccolo infortunio all’occhio destro: della sabbia finì nella mia lente a contatto e una brutta congiuntivite degenerò nelle 24 ore successive.Al Pronto Soccorso di Modena, dopo una rapida accettazione ed un’attesa di 15/20 minuti, venni visitato da un oculista che constatò la brutta congiuntivite: prognosi di 10 giorni e gocce da applicare tre volte al dì. La cura fece i suoi effetti e non ebbi bisogno di ulteriori approfondimenti.
Dopo quasi due anni, ad aprile del 2012, ricevo una lettera da parte dell’Uff. Recupero Ticket tramite posta massiva (ovvero senza alcun valore legale). L’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena richiede 43 euro di ticket non pagato per la prestazione usufruita nell’agosto 2010, senza a che me fosse stato notificato alcunché nei quasi due anni successivi. Ora l’Uff. Ticket ha ottenuto i suoi 43 euro sotto intimazione dell’intervento, in caso di ulteriore reticenza al pagamento, da parte di Equitalia. Aver cercato di “resistere” mi ha dato modo di approfondire alcuni aspetti e avere un’idea più compiuta; la cosa che personalmente mi colpisce, e non da oggi, è che spesso si vogliano imitare altre realtà e amministrazioni, prendendo come modelli virtuosi meccanismi che hanno alcunché da imitare.
Il ticket in se è uno strumento generico e complesso al tempo stesso, con un campo di applicazione variegato e con diversi obiettivi che si possono perseguire, il tutto variabile a seconda dei servizi considerati. In ambito sanitario lo strumento “ticket” è stato formalmente introdotto in Italia nel 1978 per la spesa farmaceutica e, nel corso degli anni, è stato oggetto di ulteriori implementazioni e una maggiore diffusione.
Solo nel 2006 (Legge n. 296/2006 – Finanziaria 2007) è stato previsto anche per le prestazioni di Pronto Soccorso. In linea di principio, i miglioramenti organizzativi per la priorità nella ricezione e la razionalizzazione della spesa pubblica si ottengono scoraggiando e riducendo l’accesso al PS del “codice bianco”. In questo senso, il ticket per le prestazioni di PS è uno strumento particolarmente delicato.
In primo luogo, ciò che si vuole tecnicamente ottenere è un maggior governo della domanda delle prestazioni sanitarie, disincentivando la “domanda inappropriata” e il “moral hazard” da parte dell’utenza. I due concetti coincidono solo apparentemente: non tutta la domanda inappropriata dipende da un azzardo morale e una scarsa responsabilizzazione dell’utente. La domanda inappropriata può a sua volta discendere dal medico curante (effetto SID: Supply Induced Demand).
L’idea è intuitiva: se un utente risulta completamente sgravato da qualsiasi costo rispetto alla prestazione richiesta, sarà maggiormente portato a farne richiesta, pur non avendone necessità in quanto, opportunisticamente, il costo è a totale carico del SSN e SSR. Il problema della domanda inappropriata viene risolto anche attraverso strumenti di lungo periodo, come l’educazione sanitaria, la medicina preventiva, la sensibilizzazione e l’istruzione generale della popolazione. Per questo devono essere utilizzati in maniera integrata e il ticket viene inteso come strumento per migliorare l’organizzazione e la fruibilità del servizio di PS, prevenendo una spesa pubblica inefficiente.
In secondo luogo, il ticket come fonte di finanziamento deve essere informato ad un criterio di progressività, elemento che caratterizza, non a caso, l’intero sistema fiscale. Un sistema “complessivamente” progressivo implica una riduzione delle disuguaglianze nel reddito e, di conseguenza, l’applicazione di tariffe progressive in ambito sanitario implica un finanziamento della spesa sanitaria tramite tariffe che perseguono una perequazione sociale. Questo è valido matematicamente dal momento che un sistema di tassazione progressivo persegue proprio fini di eguaglianza e redistribuzione.
Alla responsabilizzazione e il finanziamento, i due obiettivi citati, si aggiungono imprescindibili considerazioni di equità e accessibilità nel servizio sui quali si fonda un sistema sanitario pubblico. La propensione ad eliminare azzardi morali, l’agire sui miglioramenti organizzativi nell’accessibilità ai servizi (code al PS, ad ex.) e al contenimento della spesa non dovrebbero mai superare lo scrupolo circa la tariffazione delle prestazioni. Questa – se calibrata non attentamente – può dar vita a distorsioni di vario tipo, nell’accesso ai servizi, nell’equità e – in generale – circa i principi stessi che ne hanno ispirato l’introduzione. Se questi effetti collaterali non venissero debitamente presi in considerazione si potrebbe cadere nel paradosso costituito dal considerare un’attività come “pubblica” solo a livello formale e/o ideologico mentre, a livello sostanziale, l’organizzazione dell’erogazione del servizio pare seguire più logiche e meccanismi privatistici.
Uno strumento come il ticket per le prestazioni al PS incarna, come ogni strumento di politica pubblica, delle criticità e dei possibili effetti collaterali. Ad esempio: quanto più una prestazione è caratterizzata da una domanda rigida, tanto più la relativa compartecipazione dovrebbe risultare ridotta. In caso contrario, si rischierebbe di trasformare l’importo richiesto in una forma di tassazione regressiva, oppure passare da una riduzione della domanda inopportuna ad un sottodimensionamento della richiesta con conseguente acutizzarsi di malattie nel lungo periodo e maggiori costi a carico del sistema sanitario, oltreché pregiudicare l’universalità del servizio pubblico.
In particolare, nel momento in cui il ticket non viene differenziato per codici vengono meno logicamente i presupposti e le finalità stesse sulle quali, teoricamente, si basa.
Si crea un disincentivo in quanto, “a parità di malessere”, un cittadino con una discreta disponibilità economica tenderà comunque ad andare al PS. Tra il pagare per un codice più rilevante lo stesso ammontare di un “codice posticipabile”, a maggior ragione se la cifra non incide particolarmente sulle disponibilità, la scelta ricadrà sul rivolgersi al PS per eliminare ogni dubbio. In questo modo chi ha delle disponibilità economiche di un certo livello può tranquillamente pagare qualche decina di euro per un codice bianco mentre, paradossalmente, un codice verde per un cittadino a medio reddito è dovuto anche se la scelta di rivolgersi al PS era pienamente legittima.
Si disincentiva nei fatti una responsabilizzazione dell’utenza perché il ticket viene inteso come uno strumento di mera compartecipazione finanziaria senza legarlo coerentemente ad un miglioramento dell’interazione tra domanda e offerta di servizi sanitari. In soldoni, se il ticket è la cura, si è trasformato in un male perché essendo “la cura” piuttosto proficua risulta profittevole che il male permanga. Questo è già accaduto in Italia, ad ex. nei LEA (Livelli Essenziali d’Assistenza) e nella determinazione dei costi standard per i trasferimenti Stato-Regioni, lo sbandierato contenimento della spesa pubblica ha “monopolizzato” l’intera applicazione della disciplina ponendo in secondo piano altri obiettivi sui quali si è agito in modo controproducente (nel caso specifico dei LEA l’obiettivo era la perequazione territoriale).
Come si possono chiamare gli utenti ad un maggior senso civico ed una responsabilizzazione in ambito sanitario, istituendo a tal proposito anche meccanismi di compartecipazione, se il colore di accesso al PS risulta essere irrilevante nella determinazione dell’importo da versare? A tal proposito le singole regioni hanno previsto meccanismi applicativi che ad una prima analisi si possono dividere in tre categorie: ticket fisso pari a 25 euro, ticket fisso superiore a 25 euro, ticket fisso + quota variabile (questo è il caso emiliano: l’importo da me dovuto è difatti superiore ai 25 euro standard).
La lettera p), dell’art. 796, prevede che “per le prestazioni erogate in regime di pronto soccorso ospedaliero non seguite da ricovero, la cui condizione è stata codificata come codice bianco, ad eccezione di quelli afferenti al pronto soccorso a seguito di traumatismi ed avvelenamenti acuti, gli assistiti non esenti sono tenuti al pagamento di una quota fissa pari a 25 euro”.
L’ambiguità della legge è evidente dal momento in cui, nelle stesse righe, si fa riferimento sia all’avvenuto ricovero in seguito alla prestazione di PS che al codice d’accesso bianco. Le due condizioni non sono assolutamente complementari: ad un codice verde potrebbe non far seguito un ricovero, come ad un codice bianco “in entrata” potrebbe far seguito un ricovero “in uscita”.
Nel momento in cui ho fatto notare che il codice a suo tempo non era sicuramente “bianco”, la responsabile dell’Uff. Recupero Ticket ha tagliato corto sostenendo proprio che il codice d’accesso al PS oramai non rileva ai fini del pagamento o meno del ticket oltreché, in caso di pagamento dovuto, al suo importo. Per quanto contraddittorio rispetto alla teoria generale dello strumento, ciò rientra nella prassi italiana.
In Sardegna la disciplina prevede che il colore definisca se le cure fornite sono gratuite (codici rosso e giallo) o soggette al pagamento di un ticket. In questo secondo caso sono previsti 25 euro il codice bianco non seguito da ricovero e 15 euro per il codice verde. Questa disciplina viene prevista in base alla legge precedentemente citata anche se, a ben vedere, la n. 296/2006 non contempla il codice verde come ragione per il pagamento, seppur in misura ridotta, di un ticket.
Lo slegare il ticket dal “colore” dell’accesso non persegue gli obiettivi in modo sinergico, tutt’altro. Può essere un metodo per riscuotere somme che colmino gli enormi deficit delle aziende sanitarie, scaricando sull’utenza problematiche fuori dalle loro possibilità e oltre le proprie responsabilità. Spesso nei modi più disparati, come nel mio caso dove risultano palesi due inesattezze: il nome del medico che risulta avermi visitato è al femminile, mentre a me visitò un dottore; la prognosi fu di dieci giorni mentre ora improvvisamente i dati dell’Uff. Ticket li fanno diventare quattro. Ma tant’è, come detto, non ha importanza. Il ticket va pagato, in ogni caso. Alla faccia della responsabilizzazione, si pregiudica l’accesso al sistema sanitario che, in quanto pubblico, dovrebbe muoversi su principi differenti e non sicuramente con l’obiettivo di racimolare quanti più milioni di euro di compartecipazioni.