Tempio Pausania. Nulla di buono in vista per la sanità sarda
Si è tenuto a Tempio Pausania, nel pomeriggio di sabato scorso, un incontro promosso dal “Partito dei Comunisti italiani” circa le prospettive della sanità in Sardegna e nell’Alta Gallura. In qualità di relatori e referenti del governo regionale, hanno partecipato Fabrizio Anedda (Comunisti italiani) e Augusto Cherchi (Partito dei Sardi), consiglieri di maggioranza e componenti della V Commissione Permanente della RAS.Circa un mese fa ho espresso varie perplessità sui “sì” fino ad ora arrivati dalla politica italiana, a Roma come a Cagliari. L’incontro non ha fugato i dubbi e, onestamente, ne ha alimentato altri. Dati i contenuti, colpisce la poca rappresentanza locale all’incontro: erano presenti i sindaci di Tempio Pausania, Laerru e Calangianus. Gli ultimi due, nelle persone di Pietro Moro e Martino Loddo, hanno costituito le voci più critiche tra le poche figure istituzionali presenti. Preoccupante, soprattutto, l’assenza di rappresentanza per la maggior parte dei comuni dell’Alta Gallura.
Riprendo quanto scritto in precedenza all’inizio di luglio https://www.zinzula.it/san-raffaele-di-olbia-ora-bambin-gesu-quando-se-ne-parla-seriamente/
Il consigliere Anedda, imprenditore, come dallo stesso più volte ricordato durante l’incontro, ha posto l’accento sui risvolti imprenditoriali del progetto e, a suo dire, l’operazione è una delle migliori nella storia recente della Sardegna, comprendendo in questo anche le politiche industriali. “Per la prima volta qualcuno viene in Sardegna e fa impresa con denari propri, senza richiedere foraggiamento pubblico” – ha dichiarato Anedda.
Più ampiamente ha parlato di una riorganizzazione del sistema sanitario ragionale necessaria, facendo riferimento ad una non meglio precisata “aziendalizzazione del servizio di 118”.
Diversi gli interventi provenienti da un pubblico piuttosto numeroso ed interessato i quali hanno fatto notare che un’iniziativa imprenditoriale, in quanto tale, è basata sul conseguimento di un profitto e, soprattutto, il miliardo in 10 anni sul quale si fa leva non è in realtà interamente finanziato dal Qatar. Il consigliere di centrosinistra ha ribattuto sostenendo, contraddittoriamente e vagamente, che per le carte sino ad ora visionate dalla sua persona in commissione “non c’è da temere che il Qatar sia venuto qui a prendere soldi“.
Il consigliere Cherchi ha parlato di una riorganizzazione del servizio sanitario anche in riferimento ad una “riconversione dei posti letto per i piccoli ospedali“, espressione che promette poco di buono per i 140 posti letto del Paolo Dettori di Tempio e per l’Alta Gallura in generale nella quale si registrano circa 2,2 posti letto ogni 1.000 abitanti. Una situazione gravissima e di necessario potenziamento alla quale si somma il Piano per la Salute di Renzi che prospetta forti tagli, nonostante la Sardegna sia già stata una delle “regioni” che più hanno subito l’ampia riduzione di posti letto nell’ultimo decennio, arrivando a perderne quasi il 20%.
In un contesto simile, condizionato dai diktat romani del Piano della Salute che si intrecciano con le deroghe ricevute sino al 2017 per l’ex-San Raffaele, va ricordato che la Sardegna finanzia, con il 50% del suo bilancio, tutta la spesa sanitaria.
L’operazione Bambin Gesù, per stessa ammissione dei consiglieri, si sarebbe dovuta valutare ed (eventualmente) implementare alla luce di un avviato, se non già concluso, piano di riorganizzazione sanitario. Per dirla con i termini di Cherchi, “l’ex San Raffaele doveva essere la coda di questo processo di riorganizzazione, ma per varie ragioni si colloca alla testa. Ma va bene lo stesso“.
Il punto più caldo è rappresentato dai presupposti specifici che legittimano l’accordo Qatar secondo il governo regionale. I meglio noti “numeri”. In altri termini, dalle valutazioni (se così si possono chiamare) a tempo di record è scaturita l’importante cifra di 30 milioni della mobilità passiva, risorse da risparmiare ogni anno grazie al Bambin Gesù.
Questo dato è stato più volte ripreso dal governatore Pigliaru e dall’assessore Arru, giustificando l’approccio “a polo” per la sanità sarda e gallurese. Su questo ultimo punto i due consiglieri non hanno gradito la definizione di “import-export” riferita alla mobilità passiva e al ruolo strategico che secondo il governo di centrosinistra dovrebbe ricoprire il futuro “polo Bambin Gesù”.
Come detto, il punto caldo è giustificare questi 30 milioni di euro di presunti risparmi. La politica regionale non vuole scendere nello specifico, comprensibile, e oppone che in commissione sanità è, sì, stato dato il via libera ma solo su un “protocollo di intesa”. Nonostante le acrobazie, si ammette per lo meno che una stima così imponente in relazione a 242 posti letto sia sovradimensionata.
In definitiva, tra il Piano della Salute renziano e il regime in deroga concesso dallo Stato italiano, le prospettive a medio termine per la sanità gallurese sono tutt’altro che rosee. Le voci critiche sull’affaire Qatar sono decisamente poche e, come detto nell’articolo precedente, è necessario che le comunità e i propri rappresentanti si interroghino al più presto e chiedano conto in modo puntuale degli effettivi costi-benefici che l’operazione Bambin Gesù comporta per tutta la Sardegna, in particolar modo nel capoluogo dell’Alta Gallura.