Il caso dei QRE – Quartieri Riuniti in Evoluzione
Le proteste si susseguivano rapide una dopo l’altra: Tor Sapienza, Corcolle, Alessandrino, le borgate del quadrante sud-est erano una polveriera pronta a scoppiare. A cavallo tra 2014 e 2015 nascono i QRE, un’organizzazione che mette insieme tutti i comitati di quartiere, associazioni di municipi e simili: tale federazione di comitati, per così dire, non possedevano un’unica ragion d’essere né delle azioni uniche dal momento che – per l’appunto – tale organizzazione rappresentava un raggruppamento di diverse realtà.
Perché usare l’imperfetto? Perché, in buona sostanza, la creazione dei QRE è stata, almeno a parere di chi scrive, funzionale al processo e alla volontà dei settori dissidenti delle organizzazioni politiche capitoline maggiori ad andare alle urne in tempi brevi. Incanalare disagio e problematiche territoriali in un’unica organizzazione, seppur federativa ma che riguardava la Capitale nella sua interezza, era pur sempre un segnale di cui il Sindaco doveva tener conto, politicamente e non; strumentalmente e non.
Tuttavia, il piano è saltato dal momento che Marino, tutto sommato, deve poter continuare agonizzante sotto commissariamento e gestioni straordinarie (come quella per il Giubileo) attraverso le quali far passare una serie di norme impopolari giustificate dall’eccezionalità/crucialità del momento. I QRE si sono sciolti come neve al sole, in men che non si dica, e hanno avuto caratteristiche diverse nei vari municipi in cui sono stati costituiti: in alcuni propugnando una linea di dialogo con l’amministrazione capitolina, in altri di contestazione, ma sempre su stampo delle proteste di Torre Angela, Corcolle e Tor Sapienza. Nelle borgate del quadrante sud-est, per ora, i QRE sono totalmente spariti.
La protesta dei macchinisti, la municipalizzata per eccellenza
Ultimamente, le posizioni della della destra romana sono sintetizzabili negli slogan di contestazione al Sindaco riguardanti la mobilità e l’impossibilità di avere un servizio di trasporto pubblico degno della Capitale di uno Stato. Il punto – tralasciando le contestazioni di chi ha governato la città precedentemente – è che proprio sotto la giunta Alemanno sono sorti gli scandali delle assunzioni scriteriate nella municipalizzata dei trasporti (Atac) non dei macchinisti, ma di componenti la dirigenza della stessa azienda. Ricordare quanto avvenuto sotto la Giunta Alemanno sarebbe stato, sicuramente, utile ai più per la comprensione di una fase letteralmente impazzita, come scritto sopra, ma è molto più facile iniziare una campagna di attacco allo “sciopero bianco dei macchinisti che protestavano per il mancato raggiungimento dell’accordo con il Comune riguardo le ore di lavoro”, così com’è stato affermato da più parti nei media.
Via, dunque, con video amatoriali che raccontano dell’indignazione totale nei confronti dei macchinisti che viaggiano con le porte aperte della metro; via con le sassaiole al vetro del primo vagone della Roma-Lido, blocchi di binari etc etc. E’ bene, però, non soffermarsi sulla cronaca spicciola dal momento che è stata riportata e fatta rimbalzare su internet dai network con poco seguito fino all’Huffington Post, dal Corriere della Sera fino al Piccolo di Trieste. E’ più che doveroso, invece, far luce su quello che avviene dopo tali proteste (per cui ‘i cittadini’ – avviati verso il grado zero della coscienza sociale – hanno iniziato ad additare i macchinisti come causa di tutti i mali e non, al contrario, l’azienda e il sistema di gestione clientelare che l’ha cooptata per anni): Ignazio Marino afferma che non c’è possibilità di trovare un accordo con le parti sociali e quindi c’è la necessità di «trovare un nuovo partner per Atac».
«Ho deciso di cambiare il cda dando mandato al dg Francesco Micheli di rinnovare profondamente il management aziendale allontanando tutti i dirigenti responsabili delle inefficienze” L’alternativa era portare oggi (25 luglio 2015, data della conferenza stampa in cui annuncia la privatizzazione de facto di Atac nda) i libri in tribunale: sarebbe stata la soluzione più facile ma penso che possiamo farcela senza procedere a un finale così drammatico».
Partner industriale e municipalizzata è un binomio che porta dritto ad una privatizzazione, attraversando una fase di gestione straordinaria dell’azienda in cui i suoi vertici contino estremamente poco. Il comune, dunque, nella figura di Marino dichiara che l’azienda del trasporto romano non può uscire dalla crisi economica e organizzativa senza trovare un partner industriale e anticipare la privatizzazione prevista definitivamente entro il 2019.
Il trasporto pubblico, dunque, è una sorta di scalpo da mostrare all’opinione pubblica, sempre più rappresentabile attraverso il corpo del Cristo morente fra le braccia di Maria della Pietà e, finalmente, le varie amministrazioni sono riuscite nell’operazione di rendere così scadente il trasporto pubblico al punto di far passare il messaggio che solo svendendolo ad un privato si potrà migliorare la situazione. La privatizzazione, in sostanza, è la panacea di tutti i mali: il trasporto pubblico è scadente, i macchinisti non svolgono il loro lavoro, “la metrro non ppasa mai!!1!1!” ed è indecente che rimanga così, in fondo i termini di paragone nelle chiacchiere da bar (Berlino, Madrid, Parigi) non reggono il confronto con le due metro e mezza di Roma.
Ancora una svendita, in sostanza, e all’annuncio di Marino i grandi gruppi industriali, il Capitale, la stampa che conta, non ha battuto ciglio sulla decisione del Primo cittadino e- per la prima volta – ha avuto il ‘placet’ sui titoli delle cronache romane piuttosto che gli attacchi a 360°. La crisi di Atac (ed il suo fallimento) non va certo ricercata nella mancanza di fondi o professionalità da parte dei lavoratori, ma solo nell’inettitudine dell’amministrazione e nell’interesse dello Stato nella svendita di pezzi di res publica.