Tempio, Punto Nascite verso chiusura definitiva. Cordella: “dati falsati, ma non è solo responsabilità ministeriale”
Nel pomeriggio di mercoledì Alessandro Cordella, consigliere comunale di minoranza, ha convocato una conferenza stampa riguardo l’ospedale Paolo Dettori e, in particolare, il Punto Nascite inattivo da quasi tre anni. Oltre Cordella presenti anche altri due candidati, non eletti nella lista Alternativa Popolare, Nina Fara – ex ostetrica del nosocomio tempiese – e Mario Satta.
Punto centrale dell’incontro, l’esito della richiesta di deroga da parte della Regione Sardegna per diversi PN sardi. Il Comitato Percorso Nascite nazionale, organo del Ministero della Salute, lo scorso novembre ha espresso parere negativo alla deroga per il PN di Tempio. Il diniego fa riferimento alla “carenza degli standard previsti dall’accordo del 16 dicembre 2010” e parla di una scarsa attrattività del PN del Paolo Dettori. Il Comitato ritiene, in primo luogo, che “un numero esiguo dei Comuni considerati bacino di utenza presenta reale disagio orografico mentre la maggior parte, a distanze inferiori a 60 minuti di percorso, ha a disposizione PN alternativo”. Il Comitato cita le donne tempiesi le quali avrebbero “privilegiato altri PN quali Sassari e Olbia e altri sono avvenuti fuori dalla Sardegna”. Inoltre vengono evidenziate una serie di criticità, alcune riferite dalla stessa Regione Sardegna, quali carenza di organico in area ostetrica e altre mancanze quali la terapia sub intensiva e una sala operatoria h. 24 nel blocco travaglio parto.
Cordella attacca diffusamente le ragioni espresse, con riferimento ad alcuni elementi. “Ora saltano fuori gli standard previsti, ma l’interruzione del servizio del PN è sempre stata la carenza di personale, carenza che già nel maggio 2018 risultava rientrata” – afferma. E poi il riferimento all’arco temporale per giustificare la presunta “repulsione” delle partorienti galluresi per il PN di Tempio. “È un dato falsato, è normale che poche donne abbiano scelto il PN del Paolo Dettori negli ultimi anni dal momento che l’attività è sospesa da aprile 2018”. Sempre riguardo le tempistiche, Cordella fa riferimento anche alla richiesta di deroga nella quale la RAS ipotizzava la riattivazione del PN. “La richiesta di deroga formalmente è stata presentata solo il 28 febbraio 2020. La Giunta regionale era insediata da diversi mesi e ha avuto tutto il tempo di potenziare l’area ostetrica in modo che la richiesta di deroga fosse accolta. Ma questo non è stato fatto”.
Si arriva così al punto politico. Secondo Cordella, “sarebbe facile prendersela con il Ministero della Salute e il Comitato, ma la verità è un’altra: la maggiore responsabilità è in capo alla Giunta regionale. Mi auguro – prosegue Cordella – che le istituzioni del territorio non riducano tutto ad una responsabilità ministeriale, perché sarebbe comodo. La Giunta regionale, nella quale siedono anche diversi Assessori galluresi, nulla ha fatto in concreto per creare quelle condizioni che avrebbero salvato il PN. Il non fare nulla per potenziare il PN è una scelta politica”.
Alla luce delle discutibili affermazioni sull’attrattività del PN di Tempio da parte del Ministero della Salute, sarebbe interessante poter esaminare nel dettaglio la documentazione inviata dalla Regione Sardegna a corredo della richiesta di deroga in seguito respinta.
Il movimento spontaneo Abali Basta, riunitosi in assemblea il giorno 16 gennaio 2019 presso il presidio Ospedaliero Paolo Dettori, caposaldo del servizio sanitario per le comunità facenti parte dell’Alta Gallura, rigetta in toto il documento inviatoci dall’Unione dei Comuni Alta Gallura. Il documento in oggetto, infarcito di trionfalismo ingiustificato, è smentito dalle risultanze che il comitato stesso alle ore 17:40 verificava in loco. Nello specifico:
– I 2 posti OBI (Osservazione Breve Intensiva). Esistono solo sulla carta. L’allestimento delle strumentazioni necessaria alla piena operatività del servizio, non è completato: Assenza dei respiratori idonei; Assenza di monitor specifici per l’attività anestesiologica; organico in forza alle postazioni OBI, da una stima effettuata dagli stessi operatori del Paolo Dettori, per un servizio H24 di questo tipo, sarebbero necessari, oltre al personale già in servizio: 08 unità di personale infermieristico e 03 unità di anestesisti. Non risulta alcun Atto aziendale della ATS che assegni ai posti OBI queste figure professionali. Ricordiamo inoltre che le postazioni OBI, erano già patrimonio del servizio sanitario Gallurese, assegnateci nella delibera di riordino della rete Ospedaliera, passata in giunta nel dicembre 2017. Oggi come allora è solo sulla carta.
– Nomina del Primario o Direttore di Chirurgia. Nessuna nomina in tal senso è stata fatta. Ciò che ATS ha fatto in tal senso, è stato richiamare in servizio dalle ferie maturate, il Dottor Marzio Arras, che di fatto è in prepensionameto, pensionamento previsto per il mese di aprile 2019. L’incaricato in qualità di primario, allo stato attuale risulta essere il Dottor Luigi Presenti in servizio presso il Giovanni Paolo II di Olbia, quindi tutto invariato.
– Blocco Parto Ginecologia Ostetricia. La nota sottoscritta dall’Assessore Arru il giorno 7 dicembre 2018, dinanzi al Prefetto di Sassari Dottor Marani e ai Sindaci del territorio, evidenziava la necessità dell’Assessore, di una attenta e approfondita valutazione. Un nodo che avrebbe dovuto sciogliere nel tempo di una settimana. Al 16 gennaio 2019, il documento di sintesi dei sindaci, rimanda a data da destinarsi. In sostanza nessuna risposta. Nelle ultime ore, sono trapelate notizie documentabili e allarmanti relative al servizio di Ostetricia Ginecologia che aggraverebbero una situazione già compromessa. Protocolli di intervento e profilassi che, se attuati, esporrebbero a gravi pericoli la salute delle donne, delle partorienti e dei neonati.
Conclusioni. Il comitato Abali Basta ritiene ampiamente insoddisfacenti i risultati raggiunti. Censura l’atteggiamento pilatesco dei sindaci dell’Unione Alta Gallura, e le loro posizioni che disattendono, clamorosamente, l’impegno da loro assunto in piena libertà, durante una formale assemblea dell’Unione nella sala CUP del Paolo Dettori il 21 novembre 2018.
Posizioni verbalizzate che prevedevano le dimissioni unitarie, qualora i punti richiesti dalle comunità, non fossero stati accettati “fattivamente” dall’Assessore Luigi Arru. Il comitato Abali Basta nelle prossime ore darà vita ad una campagna di informazione capillare e costante su quanto avvenuto. La campagna coinvolgerà tutti i Paesi facenti parte dell’Unione dei Comuni Alta Gallura. Verranno resi noti gli impegni assunti dai sindaci ed evidenziate le loro posizioni al riguardo. La campagna si avvarrà di affissioni e azioni di volantinaggio, utilizzo della stampa, utilizzo dei social network. A tal proposito è stata aperta una sottoscrizione libera, che già nell’immediatezza e grazie alla generosità dei Galluresi presenti, ha ottenuto una considerevole cifra. Nelle prossime ore forniremo alle comunità i dettagli necessari per sostenere l’iniziativa già in corso. Abali Basta, le comunità, a questo punto lasciate sole nella battaglia, continueranno le azioni di rivendicazione del diritto alla salute, non esclusa la rioccupazione in modo più deciso del Presidio Ospedaliero Paolo Dettori. L’incomprensione o la sottovalutazione della strategia messa in atto dal Presidio, per “offrire” ai Sindaci la possibilità e la forza necessaria per combattere questa battaglia ed ottenere quanto giustamente rivendicato, è stata inficiata immediatamente da alcuni di loro, che con un atteggiamento tentennante, hanno indebolito il fronte compatto e determinato, mostrando una crepa fatale che ha portato all’accettazione supina del poco o niente proposto dall’Assessore.
Il non aver compreso che le dimissioni sarebbero state lo strumento per raggiungere l’obbiettivo e non il fine, dimostra quanto sia più forte l’ attaccamento al ruolo, dell’interesse vero delle comunità.
Si invitano i cittadini alla massima condivisione dei documenti e delle informazioni che verranno resi pubbliche.
La Giunta regionale del presidente Francesco Pigliaru ha dato l’ok definitivo al progetto della Qatar Foundation per l’investimento da oltre 1 miliardo di euro per i 242 posti letto del San Raffaele e l’attivazione di alcuni reparti di ricerca scientifica. Dopo gli entusiastici toni utilizzati a caldo è doveroso che l’indipendentismo e tutta la società sarda si interroghino sull’effettivo merito della scelta e sulla portata delle conseguenze per il sistema socio-economico nazionale. Sarebbe perciò interessante conoscere meglio i dati, le informazioni e le analisi per le quali si considera positivo il progetto e si dà via libera all’investimento del Qatar Foundation.
Facciamo un passo indietro, torniamo al 2011. I dati sulla mobilità sanitaria evidenziano per la Sardegna un ammontare di crediti (pazienti non residenti in Sardegna che hanno usufruito di cure nell’Isola) per 18.050.313 euro. Al contrario, i residenti sardi che hanno usufruito di prestazioni in strutture extra-regionali generano un debito per la sanità sarda pari 84.001.905 euro, con un saldo dunque pari a – 65.951.592 euro. Un dato in peggioramento rispetto al biennio positivo del 2008-2009 dove il saldo non raggiungeva i 57 milioni.
Secondo Pigliaru, sarà possibile “recuperare il 50% della migrazione passiva della Regione“. Si parla di una riduzione di tale voce, più correttamente nota come mobilità passiva, che secondo i dati diffusi dal governatore ammonta attualmente a 62 milioni di euro.
In attesa che maggiori informazioni siano fruibili da parte dell’opinione pubblica, si può sottolineare che una riduzione di mobilità passiva pari a 31 milioni di euro appare già a primo impatto un dato quantomeno sovradimensionato. La struttura in esame conterebbe su 242 posti letto, più 50 posti letto per “solventi”, ossia per pazienti (o compagnie assicuratrici, fondi o enti loro collegati che hanno stipulato una convenzione con la struttura) che si fanno carico di tutte le prestazioni sanitarie e domestico alberghiere erogate. Secondo i dati del Ministero della Salute, Direzione Generale del Sistema Informativo e Statistico Sanitario, al 2012 in Sardegna sono presenti 6.451 posti letto suddivisi in “acuti” (6.105) e “non acuti” (364). Alla luce di questi dati è naturale chiedersi com’è possibile che meno di 250 posti letto possano spostare un ammontare di risorse così rilevante alla voce mobilità passiva.
Oltretutto Pigliaru si è pronunciato anche sui presunti vantaggi sul lato della mobilità attiva e “all’integrazione con la rete ospedaliera territoriale” propedeutica ad “attrarre pazienti dall’Italia, dall’Europa e dal Qatar“.
Tra le dichiarazioni di Pigliaru e dell’assessore Arru, emerge una visione socioeconomica dei servizi sanitari alla stregua di un business e di una mera competizione che attragga (e concentri) pazienti in un unico polo di riferimento, ricalcando in maniera non troppo lontana le logiche di concentrazione industriale che tanto spopolamento e desertificazione hanno portato nelle comunità della Sardegna. Ma qui stiamo parlando di sanità e un modello a “polo di sviluppo”, già di per se fallimentare, implica rischi ancora maggiori se applicato ai servizi sanitari pubblici e alla loro organizzazione sul territorio nazionale sardo. Un europeista come Pigliaru sa bene, a proposito di crescita regionale, che già la prima riforma dei Fondi Strutturali della Comunità europea, datata 1988, venne in parte influenzata dagli enormi limiti mostrati dal concetto di polo di sviluppo nella riduzione dei divari di crescita.
Di polo ha parlato diffusamente anche l’Assessore alla Sanità, Luigi Arru, e per queste ragioni è opportuno evidenziare come in questo ambito, e a maggior ragione in quelli sanitari alla luce dei fenomeni di mobilità, è totalmente fuorviante considerare i servizi stessi alla stregua di un “import-export”. Al di là dei toni entusiastici del governo regionale, sul tema è importante segnalare un interessante articolo. http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=11939.
Si analizza più approfonditamente il fenomeno della mobilità in senso critico, utilizzando allo scopo la banca dati SDO del Ministero della Salute. Il fenomeno della mobilità è piuttosto delicato in quanto, per definizione, indica se vogliamo una situazione di “intrinseco disequilibrio”: non tutti i residenti di una regione, per varie ragioni, si rivolgono a strutture ubicate nella propria regione. Il giro d’affari della mobilità sfiora i 4 miliardi all’anno e in Italia si stima che circa 860.000 persone ogni anno usufruiscano di cure al di fuori della propria regione. Un approccio di business strategico può portare grossi squilibri e diseguaglianze, non solo della Sardegna nei confronti delle regioni d’Italia, ma soprattutto per quanto riguarda la mobilità infraregionale e i servizi erogati, ovvero quando ci si riferisce alle medesime grandezze poc’anzi discusse considerandole a livello delle ASL di un’unica regione.
Riguardo le implicazioni di questo approccio industriale alla Sanità si è pronunciata anche l’ex consigliera regionale, Claudia Zuncheddu. “Il Piano industriale del Qatar non è sufficiente per indurre la nuova Giunta a firmare l’accordo in tutta fretta e garantire il diritto dei sardi alla salute. L’ultima parola spetta alla politica, con il passaggio nelle Commissioni competenti e il pronunciamento del Consiglio“. La stessa ha proseguito sulla mancanza di coinvolgimento delle strutture locali, e “il parere delle strutture ospedaliere esistenti nei nostri territori, quelle che hanno il reale polso della situazione sanitaria“.
Manca difatti in toto una seria analisi costi-benefici riguardo le ripercussioni che il progetto avrà sulla sanità sarda, specialmente per la Gallura e il Paolo Dettori di Tempio Pausania per il quale, da anni, si parla di interventi di modernizzazione e potenziamento di alcuni reparti. La struttura, in antitesi quindi con le intenzioni di concentramento proposte dalla Giunta regionale e dalle intenzioni di soppressione dei piccoli ospedali a livello italiano, è un punto di riferimento imprescindibile per il capoluogo dell’Alta Gallura e per un bacino di popolazione di oltre 30.000 abitanti.
Il trend generale in Italia non è rassicurante, con i posti letto che sono diminuiti del 22% in 12 anni, passando da 296.000 nel 2000 ai 230.000 del 1° gennaio 2012. A spending review conclusa si scenderà a 224.000. Non è un caso che “l’operazione San Raffaele” a livello statale sia stata approvata in deroga, un regime che dovrebbe concludersi nel 2017. Per non parlare poi del “Patto per la salute” del governo Renzi, con la Sardegna che deve tagliare 281 posti letto.
Quello che più preoccupa è un elemento figlio della mancata valutazione in precedenza richiamata. Siamo difatti, come spesso accade, davanti ad un progetto win-win. Unicamente vantaggi, il San Raffaele e l’investimento del Qatar porteranno solo benefici per tutti. Il punto non è esclusivamente considerare eventuali “effetti collaterali”, magari motivando con chiarezza e rigore i vantaggi che compensano più che proporzionalmente gli svantaggi. Ciò avrebbe una qualche logica e si potrebbe dibattere sulle ragioni attraverso le quali, in conclusione, si fonda l’opzione Qatar. Al contrario, in questi giorni abbiamo appreso come la decisione, magicamente, non implichi alcun trade-off. Apparentemente si è davanti al programma pubblico perfetto. Ai sardi la scelta se farsi guidare dall’emozione del maxi-investimento o se chiedere conto in modo più preciso delle analisi che lo giustifichino. Appare doveroso in quanto cittadini e lo è ancora di più nel momento in cui tali giustificazioni devono pervenire da chi a più riprese in campagna elettorale ha posto l’accento su trasparenza, condivisione e valutazione.