La Sardegna è una entità. Siamo un popolo che vive in un determinato territorio ed ha le sue particolari caratteristiche, innanzitutto per quanto concerne la lingua e la storia. Come tale ha diritto all’autodeterminazione: la sovranità nella nostra terra deve passare unicamente attraverso le scelte del nostro popolo, senza i vincoli di un potere ad esso straniero. Ciò non va interpretato come una chiusura nei confronti del resto dell’umanità; tuttavia, solo quando saremo liberi potremo decidere liberamente a quali federazioni aderire- su basi democratiche.
Dopo la rivoluzione francese, il nazionalismo conosce anche la sua declinazione in senso reazionario. Tuttavia, con la Rivoluzione d’Ottobre (1917) si aprirà una nuova fase per le lotte di liberazione nazionale; infatti, la rivoluzione socialista, grazie anche al pensiero di Lenin sull’imperialismo, rappresenterà un faro per tutti i movimenti anticoloniali. Questi assumeranno un ruolo nella lotta contro il capitalismo, ponendosi in netto contrasto con il nazionalismo etnicista, tradizionalista, conservatore e borghese degli Stati oppressori.
Nel XX secolo il pensiero progressista ha analizzato particolarmente il problema dell’imperialismo, del colonialismo vecchio e nuovo, elaborando teorie come quella detta “della Dipendenza” o la teoria dei sistemi-mondo capitalisti. Queste ci hanno mostrato come i rapporti di dominazione tra un centro capitalista e le periferie possa persistere anche una volta che, queste ultime, hanno costruito delle istituzioni proprie formalmente indipendenti (Sudamerica). Inoltre, a differenza di chi ci ha preceduto, possiamo vedere decenni di storia di nuovi Stati nati dalla lotta anticolonialista. Così tutti i movimenti per la liberazione nazionale sono obbligati a chiedersi: si può porre solo il problema della mera costruzione dello Stato? Oppure l’indipendentismo è da intendersi come un processo di emancipazione reale?
In questo modo, al problema della sovranità si aggiunge quello economico. La lotta nazionale è anche lotta per l’emancipazione sociale.
In sintesi: problema istituzionale (sovranità popolare) più problema economico (lotta alla dipendenza). Dalla sudditanza e dallo sfruttamento oggettivo della Sardegna- la sua condizione di terra sfruttata per interessi altrui, in particolare dello Stato italiano- nascono le ragioni di un movimento di liberazione nazionale anche nella nostra isola.
Storia della Sardegna e pensiero sardista dalla Sarda Rivoluzione ad oggi
Il clima preparatore per la Sarda Rivoluzione (1794-96) è sorto nella seconda metà del secolo XVIII, con la crisi del sistema feudale e le riforme sabaude del Ministro Bogino- in particolare la ristrutturazione delle Università. Da queste venne fuori una intera generazione, in particolare di giuristi, aperta a nuove idee, più sensibile alla realtà dell’isola e consapevole del ruolo che la borghesia sarda avrebbe potuto ricoprire se avesse avuto accesso alle più alte cariche pubbliche del Regno nell’isola. L’invasione francese (1793) fu l’evento che scatenò l’emersione di queste energie nuove: i sardi difesero l’isola senza l’aiuto esterno e sotto un vicerè del tutto incapace di far fronte alla situazione. Ciò spinse la borghesia cagliaritana- tramite gli Stamenti- alla formulazione delle sue 5 domande a Torino; l’ostilità nel non volere rispondere ad esse e la crescita di un ambiente politico sempre più vivace attorno agli Stamenti ed al movimento riformatore a Cagliari, culminò nella “emozione popolare” del 28 aprile 1794, quando- dopo il tentativo di arrestare due uomini influenti negli Stamenti, al fine di reprimere quest’ultimo, espressione della rinnovata volontà autonomistica- i cagliaritani- con un grande atto di protagonismo popolare- insorsero contro i piemontesi, espellendoli infine dall’isola.
Sarda Rivoluzione come rivoluzione nazionale mancata (1795-96)
La rivendicazione nazionale borghese (l’accesso alle cariche del Regno di nazionali sardi; difesa delle prerogative autonomiste contro l’assolutismo della Corona) si unisce alla lotta dei contadini contro il feudalesimo. A differenza delle precedenti rivolte a carattere nazionale antelitteram- l’epopea arborense contro gli aragonesi (1354-1409); la rivolta di Leonardo Alagon (1470-1478); la crisi Camarassa (1665-1668) – la Sarda Rivoluzione, in linea con la storia europea, assume una dimensione di massa. L’inno “Su patriotu sardu a sos feudatarios” di Mannu (1795) è una grande testimonianza di questo fatto rivoluzionario che possiamo assumere come atto di nascita della nazione sarda e del nazionalismo sardo.
Nel 1796, con il tradimento della borghesia, avvenne l’aborto della rivoluzione nazionale sarda. La borghesia isolana era troppo debole per potersi mettere, con determinazione, alla testa di un movimento emancipativo; così, la prospettiva di unire le proprie rivendicazioni con il moto nelle campagne finì per intimorirli e per spingerli a rafforzare i legami con la Corona, al fine di salvaguardare ed ampliare i propri privilegi in una dimensione non-conflittuale. Inizia il processo verso la Fusione Perfetta (1848) ed il ruolo definitivamente subalterno della classe dirigente sarda, debole e priva di ambizioni, che vede nel Piemonte prima e nello Stato italiano unitario poi, il massimo protettore dei propri interessi.
Con l’arrivo della corte sabauda in Sardegna, nel 1799, a causa dell’invasione napoleonica e con Carlo Felice viceré si rafforza il legame- il matrimonio di interesse- tra Corona e classe dirigente isolana. Questa sarà funzionale allo Stato italiano come raccordo tra l’oppressore centrale ed il popolo sardo oppresso. La borghesia sarda si è rivelata incapace di avere un ruolo autonomo rispetto a quella italiana. Ne consegue che è impossibile comprendere l’oppressione sociale sarda se non entro l’oppressione nazionale; di conseguenza, è impossibile risolvere la prima senza la seconda.
Ottocento
Si assiste ad un grande interesse per la storia della Sardegna, tanto che possiamo affermare che in questo secolo gli intellettuali hanno inventato la Nazione sarda ma, allo stesso tempo, anche l’italianità della Sardegna. Gli storici sardi – Manno, Spano, Martini, Siotto Pintor- in modo paradossale ma interpretando le ragioni della borghesia sarda, da un lato danno fondamento storico alla Sardegna come nazione e dall’altro la inseriscono entro l’italianità. Fatto del tutto nuovo, dato che si è sempre pensato all’isola come a qualcosa d’altro rispetto al continente.
Nel 1847 avviene la Fusione perfetta tra l’isola ed il Piemonte. A questa segue il prepotente avvento del capitalismo: risoluzione reazionaria del conflitto nelle campagne. L’abolizione del feudalesimo (dal 1832) si realizzò contro gli interessi di contadini e pastori, come testimoniano provvedimenti come l’editto delle chiudende e l’abolizione degli ademprivi. La trasformazione economica renderà il secolo XVIII un periodo di duro scontro di classe tra il popolo e la sua classe dirigente legata allo Stato centrale, subalterna al Capitale italiano.
Sul “fallimento” della Fusione e le sue conseguenze oggettivamente nefaste si interrogano diversi intellettuali sardi, che- con la borghesia- avevano creduto in essa come ad una fonte di progresso e modernità per il popolo sardo, dando vita al pensiero federalista (Tuveri, Asproni).
Piuttosto significativa è la rivolta di “su connotu” nel 1868, a Nuoro. Espressione di una classe subalterna priva di coscienza di sé, senza la formazione di un partito che possa fare i suoi interessi e quindi dotata della sola arma della Tradizione, contro una classe dirigente unita e compatta in favore dell’Italia e del capitale straniero. Questo era penetrato particolarmente nelle miniere tramite società inglesi, francesi, belghe e genovesi.
Nell’ultimo quarto di questo secolo assistiamo all’invasione dei caseari italiani, i quali provocarono l’ampliamento dell’ovino per soddisfare la domanda di pecorino romano per gli emigrati italiani in America. Inoltre, la guerra doganale Italia-Francia, causata dalla nuova politica protezionista del governo italiano della Sinistra Storica- danneggia in particolar modo i produttori sardi; la manifestazione palese degli opposti interessi economici tra l’Italia e la Sardegna porta- specie nel primo Novecento- alle elaborazioni che si riveleranno culturalmente importanti per il futuro sardismo (Attilio Deffenu)
Dal Novecento ai primi anni 2000
Il massiccio impegno bellico dei sardi durante la Grande Guerra (13000 morti e formazione di due reggimenti a base etnica sarda) ebbe degli effetti analoghi a quelli dell’invasione francese del 1793. La coscienza di sé porta alla rivendicazione dei diritti “nazionali” contro il centralismo, per l’autonomia sarda. Dal movimento degli ex combattenti, tra il 1919 ed il 1921, nacque il Partito Sardo d’Azione, primo partito sardocentrico di massa, a base contadina e non per gli interessi degli agrari troppo deboli. Questa è la grande differenza tra la Sardegna ed il Mezzogiorno d’Italia più la Sicilia, evidenziata da Gramsci. La proposta sardista è l’autonomia sarda in una Repubblica federale italiana oltre che la formazione di cooperative tra pastori e contadini.
Dal 1923 al 1926 il PsdAz è emerso come principale formazione antifascista nell’isola. L’ascesa del fascismo stronca il processo sardista.
Dopo l’Autonomia Regionale seguita alla fine del secondo conflitto mondiale ed alla nascita della Repubblica italiana, inizia l’era dei Piani di Rinascita. Questi sono stati, di fatto, l’ennesimo progetto economico in favore dello sfruttamento della Sardegna ad opera del capitalismo italiano. L’aumento del reddito dei sardi non fu accompagnato dall’aumento della capacità produttiva; perciò l’isola divenne un mercato di sbocco per i prodotti del Nord Italia. Mentre fu creato un terreno favorevole all’invasione di capitali stranieri, la Sardegna- come ha rivelato una recente analisi pubblicata sul Sole 24 Ore- è ancora oggi la regione dello Stato italiano ove fare impresa è più difficile.
Ridimensionato il ruolo dell’agricoltura ed in presenza di una debole borghesia manifatturiera, emerge il ruolo della classe politica – dell’apparato politico amministrativo della RAS- come nuova “classe egemone”, vero e proprio protagonista della trasformazione sociale in atto, grazie al suo potere nel dirottamento dei fondi pubblici per lo sviluppo dell’isola. Ciò ha creato il forte legame tra gli agenti economici isolani ed i partiti italiani oltre che la forte dipendenza dallo Stato, ampliata dalla distruzione del tessuto socio-economico sardo con la creazione dei poli industriali e la centralità della petrolchimica. Inoltre, con la crisi petrolifera (1973-79) il capitalismo di Stato italiano (ENI) assunse un ruolo molto rilevante nell’economia sarda.
Le riflessioni sul “fallimento” della Rinascita e le sue conseguenze nefaste, il disincanto nei confronti dell’autonomia regionale, la critica nei confronti della Sinistra italiana (PCI) e dell’azione politica della dirigenza del PsdAz, portò alla nascita del pensiero neosardista e di movimenti politici esplicitamente indipendentisti ed anticolonialisti, ricollegandosi al movimento anticoloniale ed anti-imperialista nel Terzo Mondo: Antonio Simon Mossa (tra sardismo e neosardismo, paragonabile a Connolly e Krutwig, oscillante tra appartenenza al PsdAz e formazione di movimenti in dissidenza come MIRSA); Su Populu Sardu (marxista, indipendentista, propugnante uno Stato socialista sardo).
La crescita di una sensibilità sardista fu catalizzata dal Partito Sardo d’Azione durante le elezioni 1984, che portarono al governo regionale di Mario Melis in coalizione con i comunisti italiani. Tuttavia questo partito si rivelò incapace di gestire il “vento” in suo favore.
Nella prima metà degli anni ’90 si creò un nuovo contesto politico: fine della guerra fredda, crisi degli storici partiti unionisti, crisi del capitalismo di Stato italiano; processo europeista (nascita di nuovi stati indipendenti). Si crea uno spazio per una crescita della coscienza nazionale sarda, perché i messaggi indipendentisti possano concorrere con quelli dei partiti italiani, ormai slegati dalla propria forza ideologica e privi di organizzazione massiva. Crescono nuovi movimenti post-ideologici che raccolgono gli individui più consapevoli, tuttavia non tradottasi nella creazione di un movimento nazionale di massa (SN, iRS, ProgReS). A fianco di questi ultimi anche il movimento indipendentista aMpI, che si distingue per la sua ideologia marxista. Il fallimento del capitalismo di Stato ha portato all’irruzione delle multinazionali, verso cui la Regione Autonoma ha un ruolo del tutto passivo. Inoltre, il tentativo di creare un ambiente favorevole alla nuova economia ICT (Video On Line, Tiscali, Sardegna Ricerche) non ha dato i risultati sperati, non riuscendo a rompere interessi consolidati. Il fallimento del capitalismo di Stato ha portato all’irruzione delle multinazionali, verso cui la Regione Autonoma ha un ruolo del tutto passivo.
Oggi
Il disagio sociale, sebbene non direttamente indipendentista, si esprime attraverso lotte sardocentriche e rivendicazioni contro il centralismo: contro la speculazione energetica e la sottrazione delle terre; contro l’occupazione militare; referendum sulle scorie e sul nucleare; agenzia sarda delle entrate; protezione ed uso pubblico della lingua sarda.
L’ascesa della coscienza nazionale ed il credito acquistato da proposte indipendentiste negli ultimi venti anni, manifestatosi anche elettoralmente come mai accaduto nel passato (Sa Mesa de sos Sardos liberos 1996; iRS provinciali 2010; Sardegna Possibile 2014) ha portato al tentativo, da parte dei partiti unionisti, di bloccare il progetto, cercando di dipingersi come più sardisti. Il cosiddetto “sovranismo”- la collaborazione di una parte del movimento indipendentista con il centrosinistra italiano- è una manifestazione di questo tentativo di riorganizzare l’oppressione nazionale. Ciò potrebbe portare anche all’approvazione di provvedimenti positivi (esempio la legge salvacoste di Soru o, in futuro, la stessa Agenzia Sarda delle Entrate) ma non inquadrate in un progetto emancipativo ma solo al fine di bloccare un processo che potrebbe estendersi fino a minacciare la classe dirigente attuale. Un movimento nazionale di massa serve anche perché delle “conquiste” possano rimanere in piedi ed essere inserite in un progetto emancipativo. Basti pensare allo Stato sociale, concesso grazie alla forza dei Partiti comunisti e del movimento operaio, oggi in smantellamento in assenza di forti partiti a difesa degli interessi popolari).
La persistenza del colonialismo è ben testimoniata dall’esistenza di due nuovi progetti come Matrica (ENI Novamont) a Porto Torres o della centrale a biomasse nel Sulcis, ad opera della Mossi & Ghisolfi. Mentre la Sardegna importa la maggior parte dei cereali che consuma, migliaia di ettari vengono sacrificati in nome di interessi altrui.
Prospettive attuali per la lotta di liberazione nazionale e sociale sarda
Nodo cruciale: trasformazione dell’indipendentismo da movimento di individui a movimento di massa. (Esempio bolivariano).
Necessità di un forte Movimento di Liberazione Nazionale Sardo: blocco storico degli oppressi sardi- i direttamente danneggiati dalla dipendenza economica- contro il blocco unito dagli interessi in comune con lo Stato italiano. La Sinistra unionista- l’idea di una unione ncessaria del popolo sardo con il proletariato italiano- ha storicamente fallito nel suo progetto di emancipazione, ostacolando la formazione di coscienza nazionale e la creazione di un forte partito sardo di massa, risultando funzionale allo Stato, togliendo al popolo sardo la fiducia in se stesso, levandogli di dosso l’idea che la propria liberazione possa dipendere da esso solamente e non da una forza esterna alla sua volontà. La debolezza della Sinistra italiana ed il ruolo reazionario della borghesia sarda sono delle opportunità in più per una prospettiva di lotta popolare coerente in Sardegna (esempio basco e catalano: movimenti sinistra nazionalista crescono sul tracollo della sinistra spagnola, dal collaborazionismo del PCE per la “transizione democratica” in avanti).
La questione culturale è una importante arma contro l’apparato ideologico di Stato, per distruggere la coscienza soggettiva italianista ovvero l’egemonia culturale dello Stato italiano. La promozione dell’uso della lingua sarda in ogni ambito e la costruzione di un sistema educativo sardo sono i due punti più importanti.
Indipendentismo è Internazionalismo: la lotta di liberazione sarda non è in contraddizione con la lotta degli oppressi di tutto il mondo; solo gli oppressori- e i reazionari- hanno interesse a cnteporle. Dobbiamo costruire la Sardegna libera nel XXI secolo: la lotta nella nostra isola è legata con quelle emancipative in tutto il mondo, per l’indipendenza e la giustizia sociale: contro il neoliberismo, per l’ambiente, la giustizia sociale e la democrazia economica.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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– Aldo Accardo e Nicola Gabriele, “Scegliere la patria: classi dirigenti e risorgimento in Sardegna”, Donzelli (2011)
– Pietro Maurandi, “L’avventura economica di un cinquantennio” in “L’isola della Rinascita: cinquant’anni di autonomia della Regione Sardegna” a cura di Aldo Accardo, Laterza (1998)
– Francesco Floris, “Feudi e feudatari in Sardegna”, Edizioni della Torre (1996)
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