COVID-19, Mondo, Italia e Sardegna: stime da Taiwan e organizzazione nell’Isola
Ieri notte il presidente del Consiglio dei Ministri italiano, Giuseppe Conte, ha inasprito le misure di contenimento per il COVID-19 con la firma del Dpcm n° 11.
Qui il testo: http://www.governo.it/it/articolo/coronavirus-conte-firma-il-dpcm-11-marzo-2020/14299
In Dpcm in questione, come sottolineato anche dal presidente ANCI Sardegna, Emiliano Deiana, non è completamente chiaro e, come i precedenti, sta creando molta confusione per numerose categorie, al di là dei richiami alla doverosa e indispensabile responsabilità individuale. Deiana ha richiamato anche la massima urgenza di studiare e varare misure ad hoc tra ANCI-RAS per il sostegno al sistema produttivo sardo, interventi che si dovranno aggiungere a imprescindibili e massici provvedimenti statali.
Riguardo la diffusione del COVID-19 nel Mondo, da rilevare la dichiarazione ufficiale di Pandemia da parte dell’OMS e il rapido cambio di indirizzo negli Stati Uniti con i blocchi dei voli dall’Europa decisi da Trump che fino a poche ore prima minimizzava la questione COVID-19. Nonostante questo la maxi esercitazione “Defender Europe” non sembra subire variazione. Si farà comunque per gioia e vanto della NATO https://shape.nato.int/defender-europe ma l’Italia non vi parteciperà. Diversa sorte per un’altra esercitazione militare NATO, “Cold Response 2020”: annullata.
A proposito di movimenti e spese militari, sul web il movimento A Foras ha lanciato #piùospedalimenomilitari motto che richiama le lotte in Sardegna contro l’occupazione militare e l’enorme contraddizione tra spendere per costruire guerra e non pace. Costruire pace significa anche destinare alla Sanità pubblica e non al comparto bellico, risorse che potrebbero garantire l’acquisto e il finanziamento di strumenti e professionalità sane.
Il dato di oggi per l’Italia indica un nuovo forte incremento di contagi e decessi, rispettivamente +2.651 e +189 (di cui 127 solo in Lombardia) https://www.worldometers.info/coronavirus/
Il rapporto tra morti e guariti si avvicina all’unità, con i primi che rispetto a due-tre settimane fa (rapporto 3:1) si apprestano a superare a breve i secondi per la prima volta dall’inizio dell’epidemia, ora Pandemia.
Con le dovute imprecisioni e difficoltà proseguono da più parti (nei prossimi giorni si darà conto di diversi gruppi di analisti che lavorano ai dati) gli aggiornamenti delle stime su picchi ed espansione dei focolai, mentre in numerosi Stati europei le cifre crescono di giorno in giorno. Diversi governi iniziano a prendere coscienza della situazione.
Le domande (e gli obiettivi) sono sempre le stesse: quanto potrebbe durare? Come “flattare” il picco per non far collassare i sistemi sanitari? Come prevenire l’esplosione di nuovi focolai?
Riguardo le stime, l’immagine riportata mostra l’andamento della curva del contagio registrata in Cina utilizzata per cercare di simulare lo scenario per Korea del Sud e Italia. La parte a sinistra riporta i nuovi casi su base giornaliera, quella a destra corrisponde all’andamento cumulativo.
I grafici comprendono quindi una parte storica (cosa già effettivamente registrato a Wuhan dove il focolaio può considerarsi spento) e una previsionale sull’andamento e l’entità che il contagio potrebbe seguire nei focolai (outbreaks) in oggetto, Korea e nord-Italia – in particolare Lombardia (3 morti italiani su 4 per COVID-19 sono in questa regione). Le previsioni sull’andamento in Italia seguono due scenari, uno ottimistico e uno, al contrario, pessimistico. A partire dalla scelta del “blocco totale” (total lockdown) la stima su un andamento positivo o negativo è legata all’ipotesi che la misura adottata in Italia sia efficace quanto quella a suo tempo adottata per contenere il focolaio di Wuhan, ovvero il blocco del traffico imposto già nella seconda parte di gennaio.
Ciò che si osserva, come noto in tutte le epidemie, è che i provvedimenti restrittivi – oltre dipendere dalla qualità dell’applicazione pratica e altri fattori – in termini di contenimento del contagio non danno effetti immediati ma dopo un certo lasso di tempo, tendenzialmente il periodo di incubazione. Dunque, nonostante le misure prese negli ultimi tre giorni in Italia è prevedibile il proseguo di una pendenza molto ripida della curva nei prossimi giorni con gli effetti positivi che si dovrebbero iniziare a vedere solo a fine marzo/primi di aprile. Nello scenario positivo, la simulazione effettuata indica un picco italiano con oltre 3.000 nuovi casi/giorno e un cumulativo di circa 50.000 contagi totali. Nello scenario negativo – ovvero nell’ipotesi di un’inefficacia totale del blocco per il contenimento del focolaio (meno plausibile) i nuovi casi giornalieri sarebbero 6.000 e il cumulativo superare i 100.000 casi complessivi. L’obiettivo del contenimento, come detto più volte, è quello di alleggerire la pressione sulle strutture ospedaliere direttamente coinvolte nell’area in questione ma anche evitare che si sviluppino focolai come quello nord italiano in altre aree, anche molto distanti e altrettanto, se non più, densamente popolate come molti centri meridionali.
Nei giorni scorsi insistentemente si è chiesto se la diffusione stesse rallentando e si andasse in breve verso un picco della gaussiana del COVID-19. Molti esperti hanno preferito non confermare in tal senso indicando come fosse più probabile trovarsi ancora in una fase fortemente ascendente. Quello che dicono le stime e previsioni elaborate a Taiwan è che il dato del focolaio nord-italiano sia, ancora, in una fase iniziale e che, probabilmente, questa settimana e le prossime due saranno le più dure come pressione sul sistema sanitario. Il nuovo Dpcm va nella direzione di alleggerire la situazione nelle aree più colpite ma anche evitare o limitare quanto possibile l’eventuale propagazione di focolai in altre zone dello Stato. In Cina, ad esempio, sono dovuti trascorrere ben due mesi dai casi dei primi giorni di gennaio per giungere ai recenti allentamenti sui blocchi a Wuhan. L’area cinese è in termini di abitanti una zona abbastanza paragonabile a quella più calda del focolaio italiano, la Lombardia. Praticamente gli stessi abitanti, ma con diverse densità (Wuhan conta oltre 700 ab/Kmq, la Lombardia circa 420) seppur entrambi siano valori molto elevati.
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SARDEGNA. Al 12 marzo la Sardegna registra due nuovi casi, per un totale di 39 totali. Il contesto sardo ha per forza di cose e di geografia le sue peculiarità. La Sardegna conta la stessa superficie della Sicilia ma con poco più di 1,6 milioni di abitanti. Oltre l’insularità, la bassa densità che caratterizza la stragrande maggioranza della superficie e una percentuale rilevante della popolazione (30,8%, oltre mezzo milione di abitanti) suddivisa in piccoli centri (314 Comuni su 377 < 5.000 abitanti) sono elementi che costituiscono enormi punti di forza. Si tratta, di fatto, di un distanziamento sociale implicito che permetterebbe di concentrare l’attenzione e gli sforzi sulla gestione dei maggiori centri urbani. Un enorme punto di forza da preservare e non disperdere, cosa che non è stata del tutto colta. Anzi.
Oltretutto è necessario vedere demograficamente la situazione anche da un’altra prospettiva. Il “vantaggio” temporale e demografico non deve rassicurare e l’attenzione deve rimanere massima. Perché? Non saranno Wuhan o Milano, ma alcune città sarde, proporzionalmente agli abitanti totali e alla capacità di carico del sistema sanitario, potrebbero costituire focolai devastanti. “Cagliari città” conta oltre 150.000 abitanti con una densità di 1.812 ab/kmq, Quartu (città metropolitana di Cagliari) ne conta 730, mentre la Città metropolitana nel suo complesso comprende 17 Comuni, 430.000 abitanti, per una densità di 345 ab/kmq. Sassari si ferma a 231, dato comunque non da poco considerando che è calcolato su un’estensione che, da sola, è pari a quasi la metà di tutta l’area metropolitana di Cagliari. Cosa significa questo? Che i pochi casi attuali in Sardegna, l’orografia e un distanziamento implicito possono passare da punti di forza a enorme sottovalutazione del rischio.
Precisato questo, il fattore insulare-nazionale avrebbe potuto essere sfruttato al meglio con un celere blocco in entrata oppure, sempre con tempo, la predisposizione di seri controlli in porti e aeroporti e l’apertura di una sorta di corridoio umanitario per il rientro controllato e gestito dei vari cittadini sardi presenti non solo in nord Italia e non solo nelle zone più interessate. Sono infatti decine di migliaia i Sardi presenti in Paesi europei i quali si trovano alle prese con Governi che sottovalutano il COVID-19 (principalmente perché non hanno ancora focolai) consentendo fino a pochi giorni fa, o anche poche ore, enormi eventi di massa e altro. Per avere un’idea delle tempistiche a livello mondiale nella gestione COVID-19 una previsione di contenimento è stata adottata in modo rigido dalla Russia da e verso la Cina nelle cinque province confinanti tra i due paesi già il 31 gennaio (sospensione visti, corridoio umanitario e quarantena obbligatoria).
Come noto, in Sardegna questo potenziale vantaggio è stato (in parte) disperso con l’arrivo incontrollato di migliaia di “vacanzieri” dalle zone rosse che hanno preso d’assalto le seconde case presenti nell’Isola, un afflusso paragonabile al periodo estivo che ha suscitato sdegno a livello popolare e anche forti rimostranze degli Amministratori locali. Interessate prevalentemente le seconde case ma non solo, come l’albergo di Tortolì che ha persino pubblicizzato un’offerta per fuga da COVID-19. Il titolare è stato denunciato.
Gli autodenunciati con la procedura prevista al momento sono circa 11.000 ma si può verosimilmente presumere che una parte di essi possa rimanere sommersa fatto che mette ancor più a rischio un fragile sistema sanitario.
Negli ultimi due giorni, oltre l’inasprimento delle misure di contenimento a livello statale, da segnalare la decisione del presidente della Regione Toscana di firmare l’ordinanza n° 10. Questa prevede che chi è arrivato in Toscana negli ultimi 14 giorni dalle zone a rischio per ragioni non di lavoro, salute o necessità, debba far rientro immediato nel proprio domicilio, abitazione o residenza. Questo perché essi non possono avere sul territorio toscano il proprio medico o pediatra di famiglia, elemento cruciale nell’assistenza sanitaria garantita dal Servizio sanitario e, ancor più, in questo momento. Diversi dunque gli aspetti sui quali puntare per gestire al meglio la situazione nelle prossime settimane e prevenire l’insorgere di un focolaio in Sardegna.
- controlli a tappeto su seconde case e località più interessate dal fenomeno turistico al fine di verificare concretamente eventuali non autodenunciati. Sono molti di più di 11.000 considerando che gli arrivi, anche con minore intensità, erano in corso da diversi giorni prima del clamore dei servizi giornalistici in porti e aeroporti isolani. Gli arrivi in nave erano su livelli estivi con migliaia di persone per sbarco. A questo si aggiunge anche che in una prima fase dei “controlli” questi sono stati applicati solo a Cagliari. Al momento numerosi di questi arrivi stanno ancora oggi letteralmente vagabondando come fossero in ferie in un atollo sterile e immacolato. È un comportamento irresponsabile e profondamente egoista.
- allestimento di nuovi posti letto negli ospedali nei quali nel corso degli ultimi anni questi sono stati tagliati. Le strutture ospedaliere e i reparti sono già presenti e, di fatto, nell’emergenza potrebbero essere riattivati centinaia di posti letto in tempi rapidi;
- ampia copertura di dispositivi di sicurezza individuali per personale medico;
- i posti letto riattivati interesserebbero i piccoli ospedali e con loro i piccoli centri nei quali ruotano molti piccoli o micro Comuni. L’importanza di dotare questi piccoli ospedali è una funzione di decompressione nei confronti degli ospedali principali nei quali sono previste come anticipato tre Unità COVID-19 con terapie intensive (+60 unità);
- la funzione di decompressione riguarda lo specifico l’emergenza COVID-19 e tutta la gestione sanitaria ad essa correlata nel senso che tutte le altre funzioni sanitarie ordinarie devono proseguire necessariamente nel miglior modo possibile;
- le sale operatorie, o in molti casi le ex sale operatorie alla luce dei tagli alla Sanità sarda, possono essere più facilmente adibite a posti aggiuntivi di terapia intensiva o, laddove non si necessiti di posti di terapia intensiva, utilizzati per interventi chirurgici necessari nell’ordinario svolgimento di interventi che caratterizzano normalmente il sistema;
- utilizzo strutture private presenti nell’Isola. È noto da diverse fonti che in Lombardia e non solo il sistema privato sia stato e sia piuttosto restio a mettere a disposizione posti letto, nonostante la drammaticità della situazione. In Sardegna, l’opposizione popolare e le critiche da più parti giunte negli anni all’integrazione sanitaria privata a scapito di quella pubblica potrebbero giocare un ruolo chiave di “lobbysmo all’inverso” e spingere a mettere a disposizione strutture private per l’emergenza COVID-19. Il Mater Olbia, ad esempio, non ha un Pronto Soccorso, ma l’Unità di rianimazione, e tanta voglia di darsi una pubblicità positiva in Italia e in Sardegna.
- data la difficoltà a fare concepire a molti il rischio di uscire di casa e contrarre il COVID-19 potrebbe essere utile il passaggio nei Comuni isolani con megafono o altri mezzi al fine di invitare la popolazione ad attenersi alle indicazioni sanitarie, ripetendo e specificando le misure anti-contagio. Potrebbe avere un effetto deterrente e di “convincimento” soprattutto sui più anziani (ma non solo), i più esposti e spesso più testardi. Non è una cosa “simpatica” ma potrebbe essere utile, con dovuto tono e linguaggio. Come testimoniato da molti video su You Tube, in Lombardia è una pratica che si sta attuando con buoni effetti. Anche lì, difatti, nonostante il dramma conclamato in molti ospedali, in tante città e piccoli Comuni la popolazione è stata piuttosto restia fino all’ultimo ad osservare misure di contenimento. Va detto che al momento la popolazione sarda sembrerebbe aver risposto alla situazione emergenziale in modo relativamente composto e ordinato.
NOTA. Molto di quanto sopra riportato è stato appuntato nella notte tra l’11 e il 12 marzo. Il Piano straordinario approvato nella tarda serata di ieri dalla Giunta regionale e divulgato nella mattinata di oggi prevede più fasi a seconda dell’evoluzione dell’emergenza. La Ras con l’approvazione della Finanziaria destina 60 milioni di euro all’emergenza COVID-19. Una somma considerevole se si pensa alle condizioni sistema economico isolano e, per fare un raffronto, a quanto stanziato pochi giorni fa dalla Commissione europea per finanziare lo studio sul vaccino al COVID-19: 47,5 milioni di euro.
Qui il contenuto sommario in attesa della pubblicazione integrale della Del. 11/16: https://www.regione.sardegna.it/j/v/2568?s=405380&v=2&c=289&t=1