Dopo i dodici morti di Parigi prosegue il festival dei rigurgiti e della strumentalizzazione, spesso all’insegna del predominio culturale occidentale. A Sassari il clima di intolleranza si è fatto subito sentire a colpi di piccone contro un piccolo ristorante gestito da una coppia marocchina. A Bonorva, come noto, l’assessora alla cultura ormai dimissionaria nella sua pagina facebook si è lasciata andare ad uno “sfogo” nel quale ha persino invocato Adolf Hitler.
A Tempio Pausania, la situazione è più controversa. Nel pensiero domenicale apparso sul popolare social network nella pagina dell’Oratorio Don Mureddu, struttura che fa capo al parroco di San Pietro, Antonio Tamponi, è apparso lo sfogo che riportiamo di seguito: “La vita è ragionevole, la morte non è ragionevole…Ecco il pensiero del nostro Dio…Non uccidere…Chi ha fatto o fa diversamente non è cristiano. Ma è scritto anche non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te: liberi di pensare in altro modo, non liberi di offendere il pensiero altrui. Nel mondo, all’anno, ci sono 44 milioni di aborti…Illacrimati…Molto di più dei morti di fanatismo…Vorrei sapere perché una vita vale e l’altra no???”.
Va precisato che in seguito alle follie mass-mediatiche di questi giorni questa situazione era già ampiamente prevedibile. Il chiedersi perché “una vita vale e l’altra no” è infatti un leitmotiv scontato, che può essere utilizzato in vari modi: può avere un’utilità nell’evitare di continuare ad ignorare atrocità tanto quotidiane quanto non conosciute, ma può essere altrettanto utile anche per riportare le persone alla lucidità, evitando, da qui alle prossime settimane, lo scatenarsi di vere e proprie ondate di odio e intolleranza che hanno come bersaglio le comunità bombardate televisivamente e in modo scientifico. Al riguardo la lista è lunga e va dai 2000 morti in Nigeria al Donbass a ferro e fuoco, dai 7 milioni di profughi siriani ai Palestinesi con poche ore di corrente elettrica proprio mentre il primo ministro israeliano, Benjiamin Netanyahu, sfila in nome della pace e della tolleranza a Parigi, fino ad arrivare alla Francia stessa che meno di quattro anni fa bombardava Tripoli. Tutto rientra quindi in un dibattito dove ognuno, ovviamente, vede il mondo dalla propria prospettiva.
Nel caso di Tempio vediamo però il “peggior omaggio” alle vittime dell’attentato parigino. Di certo non si gettano solide basi per la convivenza civile tra fedeli di varie religioni e tra questi e i non credenti. Equiparare i morti per fanatismo religioso all’interruzione di gravidanza da parte delle donne non fa altro che proseguire sulla scia dell’oppressione, delle discriminazioni e del conservatorismo più retrogado; in questo caso a scapito diretto del genere femminile, ad onor del vero da sempre inviso alle tre principali religioni monoteistiche e non solo. Insomma, quella che vorremo fosse una boutade cattolica è tutto fuorché una battuta di satira.
Nei commenti alle esternazioni antiabortiste, preoccupa l’incoraggiamento e il supporto espresso da rappresentanti dei cittadini – teoricamente laici e responsabili dell’applicazione sostanziale della 194/78. Il sacerdote dal canto suo chiosa in modo altrettanto incomprensibile richiamando l’attenzione sulla necessità di assicurare “non solo i diritti laicisti, tutti i diritti”.
Certo che, da una sparatoria con 12 morti se ne sta facendo di strada.
Considerazioni a margine di un abitante della periferia romana (Quadrante sud-est, Casilino, VI municipio. Torre Maura, a voler essere ancora più precisi).
Chi scrive non abita molto distante dai blocchi di case popolari di Via Morandi, ormai sulla bocca del Paese intero per i recenti fatti di cronaca che si sono susseguiti. C’è chi dice che le proteste e gli scontri dei giorni scorsi siano partite, in realtà, da una (falsa) dislocazione di rifugiati politici* in quel luogo; altri (ed è la versione più accreditata) per i recenti fatti di aggressioni da parte di stranieri sugli abitanti del luogo ma non mi soffermerò tanto sulle notizie quanto sul dopo, cioè sul dibattito. Che è, poi, il cosiddetto nocciolo della questione.
Le manifestazioni di intolleranza e razzismo che si sono verificate, sono state cavalcate dalla destra neofascista e dalla Lega Nord, ormai sulla cresta dell’onda dell’opinione pubblica perché in procinto di creare un progetto politico nazionale di stampo lepenista.
Gli slogan che più erano in voga – durante le giornate di protesta – erano quelli generici e propri dell’intolleranza: “Roma ai romani”, “Basta negri” etc etc.
Andando per flash si potrebbero così scadenzare gli avvenimenti di Via Morandi: 1) gli scontri della sera dell’11; 2) le ripetute manifestazioni contro i negri; 3)la chiusura e il «trasferimento forzoso» dei minorenni ospitati dal Centro di prima accoglienza, collocato in una struttura che include anche uno Sprar (Servizio protezione richiedenti–asilo e rifugiati); 4) la Lega che accorre in difesa dei manifestanti contro i clandestini; 5) il sindaco Marino che si ricorda dell’esistenza delle periferie solo il 15 novembre 2014.
Già precedentemente, in estate e un pugno di mesi fa, sono accaduti episodi simili non tanto per la violenza, quanto di manifesta intolleranza. Mi riferisco a Torre Angela e Corcolle, borgate facenti parte del VI municipio e cioè uno tra i più grandi, estesi, popolati, meno irrorati di servizi e trasporti, meno alfabetizzati e con la più alta percentuale di centri di accoglienza di Roma. La questione che ha fatto insorgere Torre Angela, nell’agosto di quest’anno, è stata una falsa notizia della dislocazione di 500 immigrati clandestini all’interno di un centro commerciale in disuso, il famoso Dima Shopping Center. Iniziano le manifestazioni, i sit-in di protesta ed elementi delle destre municipali cavalcano l’onda gridando al clandestino.
C’è poi da dire che i 500 immigrati clandestini, più passava il tempo e le persone che ne parlavano, più aumentavano di numero e di intensità: ad un secondo sit-in a Via Celio Caldo, addirittura, s’era arrivati a dire «NE ARRIVANO 5000», roba che neanche lo Stadio Olimpico. Si arriva, dunque, a bloccare la Casilina così come si bloccherà la Polense a Corcolle: alla seconda manifestazione nell’ultima borgata citata si presenterà anche il Presidente del Municipio Marco Scipioni (in quota PD) che urla “Via i Clandestini dal mio municipio”, in merito all’episodio che – anche quello – era stato citato da media nazionali riguardo episodi di intolleranza.
I casi sono diversi, tra loro, ma i quartieri in esame non lo sono poi così tanto: si parla di borgate con case popolari, borgate storiche e neo quartieri sorti ad un tiro di schioppo da Zagarolo e lontanissimi dalla parola Roma. Sia come città che come concetto, verrebbe da dire.
Il minimo comune denominatore delle tre manifestazioni è stata la caccia all’immigratovisto che in tutte le dimostrazioni che si sono verificate ci sono stati atti di intolleranza (esplicita ed implicita) o violenza, unita alla diffusione di notizie senza alcun fondamento (la famosa storia del Lo Stato fornisce 50€ al giorno agli immigrati clandestini!!!11!1!1!) solo con lo scopo di avvalorare il proprio obiettivo.
Il punto però è che questi tre quartieri si trovano, letteralmente, ai margini della connessione sociale e cittadina del tessuto urbano di Roma, e chi ci vive ne è il testimone quotidiano di quanto appena scritto.
In questi quartieri mancano punti di riferimento sociali, assistenziali di prima necessità da cui scaturisce la mancanza – totale, che nel corso del tempo diventa endemica – di una stella polare a livello politico. Quanti servizi sanitari e quanti tagli sono stati apportati a quelli che dovrebbero essere considerati basilari per una vita minimamente decorosa?
Porto un esempio che non è in merito ai tagli ai servizi sanitari ma a quelli del trasporto: il V e il VI municipio (rispettivamente ex VI/VII ed ex VIII) sono stati i più colpiti dai tagli delle linee ATAC. Si potrebbe dire che i mezzi d’informazione radiotelevisiva hanno trasmesso il taglio annunciandolo come necessaria razionalizzazione ed ottimizzazione del servizio pubblico. Usando un gioco linguistico che sembra quasi il cambiamento dei nomi in italiano durante il fascismo, in cui il cocktail diventava bevanda arlecchina.
Il punto è che non c’è niente di umoristico nel negare una vita dignitosa alle persone che creano ricchezza e producono lavoro per il cosiddetto Centro-Città, perché negando i diritti alla mobilità e alla salute si sta (più o meno implicitamente) svilendo la vita di migliaia di persone.
Il tema vero, che non è mai stato affrontato in questi giorni di sommossa, è che senza diritti e senza servizi i clandestini nei confronti della città siamo proprio noi: gli abitanti della periferia, delle borgate che popolano la Casilina, la Prenestina, la Polense, la Collatina, il quadrante sud-est tutto, senza distinzione tra gli italiani e gli altri. Se mancano dignità ed equità, mancano per tutti non per una parte circoscritta di popolazione, mentre l’altra vive nell’agiatezza.
Ovviamente, parlando di questo, c’è anche da porre la questione dell’equa redistribuzione della dislocazione dei Centri di Accoglienza: il VI municipio, e la periferia tutta, portano il fardello enorme di essere le parti della città che detengono il maggior numero di questi centri.
Roma, se è veramente accogliente, deve poter apportare un’equa redistribuzione dei Centri in tutti i quartieri: Parioli, Corso Trieste, Fleming, sono o non sono Roma? Oppure la periferia è considerata Roma solo quando arriva il momento della riscossione dei tributi, del taglio ai servizi e dello svilimento stesso dei quartieri ai margini della città?
Ecco, il punto – mai toccato (guai a farlo: altrimenti si sarebbe creato dibattito) – della questione di Tor Sapienza, cavalcata dai neofascisti e lepenisti in erba è – piaccia o non piaccia – la perdita di dignità scientifica nei confronti della periferia, dovuta da un sistema che si chiama neoliberismo. O se si preferisce, capitalismo.
Questo sistema, che oggi tutti esaltano come il migliore del mondo, ha portato una guerra fra miserie contrapposte tangibile nelle periferie romane. Tant’è che il cosiddetto welfare è stato definito, dal primo ministro di una Repubblica Baltica, l’insieme dei servizi in cui l’assistenza sanitaria e alla persona sarà sempre di più appannaggio di chi se lo potrà permettere.
* rifugiato politico è una cosa, immigrato clandestino un’altra. Precisazione superflua? Meglio specificare, nel periodo in cui si manda tutto all’ammasso.