A gennaio sostenevo come l’operazione Qatar per l’ex San Raffaele portasse con se un vizio di fondo: farsi dettare la politica sanitaria dalle scelte allocative di grandi gruppi di investimento. Pochi ne parlavano in modo critico, non si poteva certo scontentare il bacino elettorale da catalizzare “per andare in regione”. Sai, poi gli elettori di Olbia si lamentano, poi si lamenta quell’altro. E poi c’è Pigliaru: un’eccellenza, quindi saranno l’eccellenza pure gli investimenti che porterà in dote. Lui sa garantire certe condizioni agli investitori. A me proprio questo preoccupava.
Quindi un colpo alla botte e uno al cerchio: il San Raffaele s’ha da fare. Perché è un’eccellenza e altri noti luoghi comuni che vengono utilizzati quando il Capitale deve mettere radici in Sardegna. Ero praticamente solo, ma da indipendentista la cosa non mi meravigliava. Oltre al sovranismo, che tende a destra e infatti è alleato di Pigliaru, c’erano presunti rappresentanti “di sinistra” che si avventuravano in cose come “la sanità pubblica è fondamentale ma il San Raffaele è un’occasione da non perdere“. Idee confuse, il peggior nemico della sanità pubblica: in questa approssimazione e forma mentis elettorale i grandi gruppi che spingono per investire, e alle loro condizioni, hanno gioco facile.
Qualcuno diceva: esagerato. E io ribattevo che “loro”, i colonialisti, decidono mentre noi, o meglio, i rappresentanti italiani a Cagliari, danno il benestare al Cavallo di Troia economico, come mi piace definire certi piani di investimento. Poi passiamo anni e anni ad inseguire le conseguenze negative. Riorganizzando, tamponando, lamentandoci, protestando, chiedendo deroghe e altre forme assistenziali che mettano un rimedio temporaneo a conseguenze, ormai, strutturate. Rimedi temporanei che non fanno altro che stringere le solite catene della dipendenza e del sottosviluppo. I sovranisti dicevano: Pigliaru ha promesso, Pigliaru ha garantito, Pigliaru ci ha assicurato. Già questo non era un buon presagio, ovvero prendere per oro colato ciò che viene fuori dal PD, con l’aggiunta di “fare uno Stato” affidandosi ad un tizio recuperato dai vecchi disastri soriani di metà anni 2000. Perché, di solito, nelle elezioni occorre un candidato e alla calza della Befana ancora non era dato sapere chi fosse il prescelto da Roma. Sorridevo, poverini.
Ecco il sovranismo: esercitare voci in capitolo residuali, marginali, poter decidere in pratica su dettagli tendenti al nulla da amplificare ai fini propagandistici. Nella sostanza, la politica pubblica è stata già predeterminata e i suoi effetti andranno in un verso ben preciso: la dipendenza economica e il sottosviluppo indotto. In questo modo, col far finta di decidere noi quando hanno già deciso loro, il servizio allo Stato italiano non è mai in discussione, mentre formalmente esponenti sovranisti lanciano ruggiti avvertiti da Roma come poco più che miagolii.