Colonialismo. La comunità sommersa di Pavel Stanj (di Andrìa Pili)
“Su 978 processi condotti dal Tribunale Speciale fascista negli anni 1927-1943, 131 furono condotti contro 544 imputati appartenenti alle minoranze slovena e croata. Su un totale di 4.596 condanne pronunciate, 476 furono comminate a Sloveni e Croati. Su 27.727 anni di carcere sentenziati, 4.893 furono inflitti a queste due comunità. E infine, su 42 condanne a morte, 33 furono emesse contro Sloveni e Croati. Negli anni 1930-1942 caddero davanti ai plotoni di esecuzione fascisti 19 Sloveni, dieci di essi prima dell’inizio della vera lotta armata“*
Recentemente, anche in vista di un prossimo convegno da organizzare in facoltà con Scida, sto approfondendo la questione slovena in Italia. Leggendo questo passaggio- da un libro dello storico sloveno di cittadinanza italiana Pavel Stranj– ho anche riflettuto sulla celebrazione istituzionale del 25 aprile 1945 e sulla narrazione dell’antifascismo italiano nelle scuole e nei mezzi di comunicazione. Come sempre ad emergere è l’idea di una nazione italiana monolitica da cui discende conseguentemente un antifascismo ed una Resistenza al nazifascismo- pure nella varietà ideologica- come lotta di liberazione di questa nazione, mettendo tra parentesi i differenti effetti che il regime fascista ha avuto in comunità diverse da quella italica -come è il caso delle comunità slave come della Sardegna- esasperando l’oppressione politica, economica, sociale e culturale già propria dello Stato italiano in quanto tale. Nel caso della Slovenia ciò diede origine ad un movimento di liberazione nazionale, una Resistenza antifascista durante il Ventennio, prima dell’occupazione fascista della Iugoslavia e non marginale nella generale opposizione a questo regime.
In Sardegna non diede vita a qualcosa del genere ma è evidente come il regime fascista abbia avuto degli effetti specifici nella nostra isola, sia esasperando caratteri già presenti nel nostro rapporto con lo Stato sia ponendo una pietra tombale su un processo di autodeterminazione avviato dal Partito Sardo d’Azione (dopo la seconda guerra mondiale il PSdAz avrà una base sociale completamente diversa da quella avuta tra 1919 e 1926, che ne aveva fatto il maggiore partito antifascista nell’isola, annullando il suo carattere ostile alla classe dirigente sarda). Effetti che paghiamo ancora oggi. Per questo sarebbe necessaria una riflessione seria e non chiusa alla ricerca universitaria, agli intellettuali e ai singoli interessati. Una giornata sarda dell’antifascismo potrebbe essere un’occasione per farlo, in attesa di un’istruzione che fornisca ad ogni sardo le basi per la conoscenza della propria storia nazionale.
Andrìa Pili
* “La comunità sommersa. Gli sloveni in Italia dalla A alla Z” , di Pavel Stranj, 1989