Una domanda centrale per il vivere e il benessere umano è appunto “Come bisogna vivere”?
Per quanto il quesito possa apparire astratto, in realtà muove le profonde radici della disciplina economica. Nel sentire comune oggi l’economia è relegata a meccanismi matematici, illogiche modellizzazioni della realtà e, soprattutto con l’avvento delle nuove tecnologie e internet (ex. il trading on-line), una “questione” altamente ingegneristica, lontana per i più. Un’incomprensibilità che non si presta ad analisi o riflessioni. Un’economia che così facendo viene spogliata di dialettica e ragionamento, diventando un insieme di dogmi e miti altamente pericolosi.
L’approccio Sviluppo Umano implica necessariamente un giudizio valoriale sulla programmazione economica, o sulla programmazione dalla quale si decide di astenerci. Simili giudizi valoriali non possono non permeare la valutazione dei risultati sociali ottenuti dai programmi pubblici.
Un passaggio aristotelico chiarisce meglio il senso di questo giudizio, rimandando ad uno dei pilastri sui quali si fonda lo Sviluppo Umano: l’uguaglianza.
“Certo esso è desiderabile [il bene umano, n.d.r.] anche quando riguarda una sola persona, ma è più bello e più divino se riguarda un popolo e le città“.
Come accennato, l’approccio ingegneristico si basa su forti semplificazioni e non a caso è stato in precedenza accostato il termine “totalizzante”. Gli individui e i comportamenti umani sono visti così in modo fortemente semplificato e l’enfasi viene posta non tanto sulle finalità dell’agire – cioè la Politica – ma più che altro sui mezzi atti a raggiungere quei fini e su aspetti prevalentemente logistici. Questo comporta alla lunga un ritiro progressivo, ma involutivo, della Politica dalle dinamiche economiche e dalle scelte pubbliche.
La frontiera più recente di una simile deriva, filosofica prima che pratica, è costituita dal così detto laissez-faire, più comunemente noto neoliberismo, orientamento favorevole al non intervento dello Stato nell’economia intesa come rapporti di produzione-consumo e scelte allocative dei detentori di mezzi di produzione privati. Una vita più governata da consigli di amministrazione di grandi gruppi aziendali che da istituzioni elette, centralmente come localmente nelle singole Nazioni. L’approccio e l’ideologia liberista prestano il fianco ad una miriade di critiche, sia sul piano etico-teorico che sul riscontro empirico.
Le maggiori critiche non fanno solo riferimento a studiosi dello Sviluppo Umano, quali Sen appunto, ma ad un più ampio spretto di studiosi sociali quali, ad esempio, dall’economista americano Joseph Stiglitz in quale a ben vedere traccia in maniera efficace la differenza tra Capitalismo Teorico e Capitalismo dei Compari, ponendo a nudo l’inesistenza di un presunto “Stato neutrale” nel laissez-faire liberista.
Secondo il laissez-faire, l’azione del singolo, nella ricerca del proprio benessere, sarebbe sufficiente a garantire la prosperità economica alla società complessivamente considerata. Un approccio di questo tipo, come varie volte è stato riportato dallo stesso Sen e da altri autori, è basato anche su interpretazioni approssimative e storicamente decontestualizzate del pensiero di Adam Smith. In particolare, ne “La Ricchezza delle Nazioni” (pubblicato il 9 marzo del 1776) un passaggio del pensiero smithiano diviene tanto celebre quanto manipolato.
“Non è dalla generosità del macellaio, del birraio o del fornaio che noi possiamo sperare di ottenere il nostro pranzo, ma dalla valutazione che essi fanno dei propri interessi”.
Antecedente a questa opera si colloca Teoria dei Sentimenti Morali, pubblicata nel 1759. Qui emergono chiaramente i tratti del pensiero filosofico e politico di Smith posti alla base delle analisi economiche e questo sancisce – eufemisticamente parlando – la spregiudicatezza di alcuni nell’attribuire a Smith la paternità del moderno sistema capitalistico o ideologie neoliberali sintetizzate dall’imperante laissez-faire e dalla propaganda NeoCon.