Da un po’ di giorni, in Sardegna, è tornata a far parlare di sé una questione che sarebbe dovuta essere chiusa, per la verità, già da qualche tempo. E invece torna prepotentemente agli onori delle cronache giornalistiche, riempiendo pagine su pagine.
Le organizzazioni indipendentiste si iniziano a mobilitare nuovamente per quella lotta già vinta tramite referendum popolare del 2011, un anno prima di quello, più famoso a livello statale, che aveva come quesito cardine “l’acqua pubblica”. La questione delle scorie nucleari in Sardegna, però, è di una lampante semplicità perché molto simile a quella dell’acqua pubblica sopracitata: in entrambi i casi si sono tenuti due referendum popolari che hanno avuto come esito non la diserzione dalle urne, bensì il superamento del quorum. Quel 50+1% che fa tremare i propositi di qualsivoglia quesito referendario.
Le due questioni, quella delle scorie e quella dell’acqua, sono molto simili, se non addirittura speculari: in entrambi i casi si è tenuto un referendum che ha rappresentato un’importante affermazione della volontà popolare. In altre parole: il popolo ha deciso. Come non ricordare, infatti, le vicende tra il consorzio Acqualatina e Dondi: gli esiti della privatizzazione erano sotto gli occhi di tutti, così come i servizi erogati del tutto scadenti. Per usare un eufemismo.
Ma se c’è una cosa che accomuna le due questioni, quella del nucleare e quella dell’acqua pubblica, è il fatto per cui la volontà popolare viene assunta e tirata in ballo come tornaconto per un proprio fine, come grimaldello per una legittimazione forzosa per poter essere sventolata come arazzo davanti alla stampa. L’esempio più lampante è rappresentato dal famigerato 40% del Partito Democratico alle elezioni europee: 40% degli aventi diritto, non della totalità del corpo elettorale. Ma, in fondo, la strozzatura della post democrazia è anche questo: autolegittimarsi di fronte ad una mancanza palese di consenso e far passare il tutto come ampio successo.