Uomini e rapporti sociali in Sardegna nel ventennio di fine Ottocento (Cap. II)
[…] Nell'<Inchiesta sulle condizioni economiche e della sicurezza pubblica in Sardegna>, condotta, nel biennio 1895-96, dall’On. Francesco Pais, si legge con riferimento all’istruzione elementare: “è da notarsi che la Sardegna, se in cifra assoluta spende meno di ogni altra regione (eccetto la Campania) per l’istruzione elementare, però in relazione al numero di abitanti spende più che gli Abruzzi, la Basilicata e la Calabria, per i quali rispettivamente la spesa ragguagliata ad un abitante è di 1,35, 1,11 e 1,15 mentre la Sardegna raggiunse 1,43; ed il corso di ciascun alunno, se in Piemonte e in Lombardia, che sono le regioni che più spendono per l’istruzione, è di lire 19,97 e 22,03, in Sardegna raggiunge le 24,92, poco al di sotto della media del regno di 25,12. Certamente l’istruzione primaria in Sardegna non è trascurata, che si fanno anzi i maggiori sforzi, ma che è d’uopo che sia vigorosamente sorretta”.
[…] Tra il 1878 ed il 1906, vennero emanate in Italia quattro leggi che prevedevano agevolazioni finanziarie agli enti locali, per il miglioramento dell’edilizia scolastica e dalle quali i comuni sardi trassero pochi vantaggi. Con la legge 18 luglio 1878 essi chiesero e ottennero solo tre mutui di 79.900 lire, pari ad 11 centesimi per abitante, somma esigua rispetto alle esigenze locali. Nell’anno scolastico 1886-87 il municipio di Sassari, per l’istruzione popolare, stanziò 43.136 lire e, nel 1887-88, 43.587 lire. Se a questa somma si aggiungono le 25.000 lire per il mantenimento dell’università, ed altre spese per il liceo-ginnasio, gli istituti tecnici e la scuola normale, si ha il totale di circa 90.000 lire destinate all’istruzione dei cittadini. Nell’anno scolastico 1890-91, vennero stanziate 104.365 lire per gli stipendi degli insegnanti ed ai bidelli, manutenzione del mobilio ed arredi, libri, premi e dotazione all’università.
[…] “E’ vero che la differenza fra l’iscrizione e la frequenza è massima in Sardegna, ma la necessità impedisce di corrispondere al desiderio per le condizioni economiche e igieniche della popolazione e per il difetto di locali scolastici” (F.Pais).
[…] “Da noi si ignorano le più elementari pratiche agricole. E mentre l’indirizzo e l’esecuzione della varie colture sono abbandonate all’arbitrio di ignoranti fittavoli e mezzadri, i nostri proprietari fuggono la campagna e divengono medici, avvocati, professori, negozianti, impiegati…Una scuola vera di agricoltura con un podere discretamente esteso, che accolga giovani figli di possidenti, di fittavoli, di mezzadri, darebbe all’isola valenti agricoltori”. Sullo stesso giornale (La Sardegna, ndr) del maggio 1884: “In Sardegna per certe industrie non mancano del tutto il capitale, né le braccia…invece difetta il personale tecnico capace e istruito all’uopo, e difetta appunto perché mancano le scuole atte a formarlo”.
[…] La scarsa frequenza non era dovuta tanto al disinteresse dei sardi verso i problemi agricoli, quanto all’errato metodo di insegnamento adottato nella scuola (agraria di Nulvi, ndr). <Finché all’insegnamento non si darà il vero carattere pratico non si farà altro che spendere inutilmente i denari dei contribuenti. Per il rifiorimento dell’agricoltura non ci vogliono enciclopedici; ci vogliono campagnoli praticamente istruiti, che sappiano applicare le nozioni principali della scienza a tempo e a luogo> (La Sardegna, gennaio 1891).
[…] Il giornaliero percepiva 1,75 lire al giorno, durante l’inverno, 1,50 in primavera e 1.25 lire nei mesi in cui la domanda di lavoro era scarsa. Il salario era più elevato durante l’inverno, in quanto la domanda di lavoro, nella provincia di Sassari, era abbondante per la raccolta delle olive. Ciò nonostante, non tutta la mano d’opera veniva soddisfatta perché i proprietari preferivano ingaggiare le donne, che retribuivano con salari molto bassi.
In rapporto al costo della vita, i salari percepiti dalla classe agricola sarda erano molto bassi e appena sufficienti all’ordinaria spesa per alimenti. Anche se si tiene conto che i contadini si nutrivano prevalentemente dei prodotti della terra, come fave, patate e altri ortaggi, resta sempre evidente che le loro condizioni di vita erano piuttosto misera. Ciò risulta chiaramente se si considera che il prezzo al chilogrammo del pane era di 40 centesimi, della carne bovina di 1,25 lire, di quella suina di 1,45 e dell’agnello di 1,25 lire”.
[…] Nel 1881, su un totale di 303.820 occupati nei settori produttivi, quello agricolo ne assorbiva 165.944 e nel, 1901, 201.809 su un totale di 322.180. Più che l’aumento effettivo sono significativi i mutamenti verificatisi all’interno della classe agricola; in particolare la diminuzione del numero dei proprietari, a causa delle espropriazioni, ed il conseguente aumento dei giornalieri e dei piccoli proprietari coltivatori. La crisi che, intorno al 1880, colpì l’agricoltura europea e mise in gravi difficoltà finanziarie i proprietari terrieri ebbe la sua origine nella concorrenza del grano americano e russo e nel notevole sviluppo dei trasporti marittimi, che rese possibile la formazione di un mercato mondiale dei cereali. Il crollo del prezzo del grano e di altri prodotti agricoli fu la manifestazione immediata della crisi.
[…] Nel 1871, i minatori sardi percepivano 2,50 lire al giorno e i continentali 3,50 lire; nel 1881, il salario dei sardi salì a 3 lire, quello dei continentali a 4,50, cifra che non venne mai più raggiunta nei venti anni successivi, a causa della crisi dell’industria mineraria determinata dalla discesa del prezzo dei metalli. Nel 1891, i minatori sardi percepivano 2,40 lire, i continentali 3,80; solo nel 1900 le retribuzioni furono migliorate e fissate a 2,58 lire. Dal 1889 al 1897, i minatori continentali occupati nelle miniere sarde, percepivano un salario superiore a quello degli operai delle solfare della Romagna, Marche e Sicilia; solo dal 1898 vennero superati dai picconieri a cottimo delle solfare siciliane. Per le altre categorie di lavoratori, come i muratori e i carrettieri, dal 1882 venne abolita la differenza salariale tra sardi e continentali, che, negli anni precedenti, era di circa una lira.