Sono tanti i conflitti nel mondo dimenticati, spesso perché scomodi. Sono tanti i popoli oppressi in lotta. Alcune rivoluzioni non occupano nei media lo stesso spazio di altre. Alcune sono finte rivoluzioni, come dimostra il caso più recente dell’Ucraina nella quale la svolta neo-fascista e neo-nazista viene sponsorizzata da praticamente mezzo mondo. Unione Europea in testa, s’intende, e incluso, manco a dirlo, il governo Renzi che parla anche lì e non solo a Roma di incoraggiamento sulla via delle riforme.Del Medio Oriente in queste ore si parla prevalentemente riguardo il genocidio palestinese, in misura minore e quasi assuefatta di tanto in tanto scorrono immagini della devastante guerra civile in Siria e l’ondata di terrore dell’ISIL in Iraq. Ma ci sono rivolte meno conosciute e discusse, conflitti pressoché dimenticati, come il caso del Bahrein.
Le fonti non sono precise ma ad oggi si stimano almeno 200 morti, 6.000 tra feriti e arrestati, almeno 2.000 rivoluzionari sotto tortura e oltre 500 che non possono più rientrare nel paese dopo l’espulsione da parte del regime.
Tutto ciò a dispetto di quanto facciano pensare alcuni indicatori come PIL pro-capite e, purtroppo, l’Indice di Sviluppo Umano, che vedono il piccolo paese del Golfo Persico collocarsi rispettivamente in 34° e 42° posizione mondiale. La situazione reale è ben diversa. In Italia, al massimo, l’opinione pubblica ricorda vagamente la sospensione del mondiale di Formula Uno al “Sakhir” di Manama nel marzo del 2011. Niente male per un movimento estremamente giovane che costituisce un caso piuttosto singolare nel panorama arabo e musulmano. Un po’ il carattere moderatamente religioso, quando non aconfessionale e anarchico, rende la Rivoluzione un caso unico. Nel movimento giovanile “14 febbraio” la metodologia si basa su un’informazione via internet molto curata unita al buon vecchio metodo dell’azione diretta di guerriglia urbana. Al Movimento 14 febbraio si attribuiscono i più significativi attacchi alla polizia militare della monarchia degli Al Khalifa, famiglia che predomina in Bahrein da oltre 150 anni, ben prima dell’indipendenza del paese dal Regno Unito avvenuta formalmente nel 1975. La dinastia regnante viene fatta risalire sino allo sceicco Isa ibn Ali Al Khalifa (1848-1932) regnante dal 1869. Casualmente la nascita del primo Al Khalifa coincide con l’anno di promulgazione dello Statuto Albertino nel Regno d’Italia, caratterizzato anch’esso da una successione al trono disciplinata con la legge salica (Pactus legis Salicae). Nel Bahrein la prevalenza religiosa non si riflette all’interno delle istituzioni di regime. La popolazione è infatti in gran parte sciita ma la monarchia Al Khalifa è di estrazione sunnita.
Da oltre tre anni e mezzo il Movimento resiste alla repressione monarchica nell’indifferenza totale del mondo occidentale, preoccupato nel 2011 per il rinvio della tappa di F1. Nel mondo arabo la sunnita Arabia Saudita ha inviato forze militari per supportare la repressione degli Al Khalifa. L’Iran sciita, al contrario, vedrebbe di buon occhio un governo amico in quella zona, ma l’assenza di una spiccata connotazione religiosa nella Rivoluzione ha raffreddato qualsiasi tipo di aiuto sostanziale.
I governi occidentali, come spesso accade, non si sono pronunciati. In realtà nessun sostegno ufficiale al governo monarchico repressivo: la soluzione è l’oscurantismo. I media occidentali e molti anche arabi si preoccupavano per la loro sicurezza nel paese, mentre la polizia militare torturava prigionieri nelle galere di Manama e Sitra. Il principale partito di opposizione sciita, Wafaq, cercava di richiamare l’attenzione del mondo sulle violazioni di diritti umani mentre il Movimento rilanciava i tre giorni della rabbia.
L’organizzazione della Rivoluzione e la sua propaganda si basano su accattivanti video ad alta definizione che documentano le azioni mirate dei giovani rivoltosi che si oppongono agli spari dei militari anche su cortei pacifici e disarmati. Oltre la giovane età, la componente femminile è molto alta. Tante donne sono state arrestate e torturate per il loro impegno. Non una rivendicazione di genere esplicita, il che indica buoni rapporti tra i due generi, ma una radicale richiesta di giustizia e libertà per tutta la nazione. Ciò che ha unito le donne del Bahrein è l’opposizione sino al martirio alle brutalità del governo nei confronti di tutta la popolazione. Colpirono le immagini delle giovani donne del Bahrein con bavagli “Ready do die for Barhein” mentre i ragazzi assaltavano i mezzi militari spara acqua nelle strade di Sitra. La guerriglia urbana a Manama si basa su azioni lampo a sorpresa con nuclei sparsi di decine di ragazzi armati di molotov che attaccano posti di blocco della polizia, caserme e convogli governativi. Si riuniscono nelle vie delle periferie e sui tetti delle abitazioni, loro, gli incappucciati scalzi e determinati, colpiscono e si dissolvono nei polverosi vicoli. Altre volte lo scontro è faccia a faccia, con barricate di centinaia di copertoni in fiamme e strade interrotte. I giovani del Bahrein attuano al meglio la logica di colpire il Capitale e causare danni economici per intaccare l’egemonia della monarchia. Il rinvio della F1 nel 2011 causò ingenti perdite economiche, facendo infuriare investitori di tutto il mondo che chiedevano mano ancor più pesante contro i “vandali di Manama”.
Anche grazie ai nuovi mass-media, i rivoluzionari del Bahrein hanno potuto apprendere teoria politica ed informazioni, ma hanno soprattutto imparato ad agire adattando la lotta ai pochi mezzi a disposizione, al ridotto numero di abitanti e alla quasi totale assenza di popolazione rurale. Agiscono in modo apparentemente casuale e disordinato mentre in realtà le azioni, per quanto scarne militarmente, sono pianificate seguendo letteralmente la teoria e la pratica del Piccolo manuale della guerriglia urbana, saggio del 1969 ad opera di Carlos Marighella, guerrigliero rivoluzionario brasiliano attivo durante il sanguinoso ventennio di dittature militari dei gorilas. Va precisato che i rivoluzionari e le rivoluzionarie del Barhein non adottano metodi di terrorismo nel loro agire e si registra, curiosamente, l’assenza pressoché totale di armi da fuoco.
D’altra parte va ricordato che il Bahrein è, di fatto, un paradiso fiscale nel quale le enormi ricchezze in termini di risorse energetiche, snodi finanziari e commerciali, più turismo e servizi, garantirebbero un buon tenore di vita al milione di abitanti dell’arcipelago nel quale si registrano tassi di disoccupazione oltre il 15% ed enormi diseguaglianze. La monarchia dal canto suo sostiene che la libertà di parola non sia in discussione, ma le prime proteste furono completamente pacifiche e dopo aver raso al suolo il centro della protesta, il regime introdusse la legge marziale.
A mondiale di calcio concluso, si può dire che in Brasile al Grande Capitale sono state assicurate quelle condizioni di sicurezza che tanto incidono sulla ricerca del profitto e la tranquillità negli affari. In Bahrein questo processo è stato interrotto in modo particolarmente efficace. Lunga vita alla Rivoluzione del Bahrein!