Tempio Pausania. Nulla di buono in vista per la sanità sarda
Si è tenuto a Tempio Pausania, nel pomeriggio di sabato scorso, un incontro promosso dal “Partito dei Comunisti italiani” circa le prospettive della sanità in Sardegna e nell’Alta Gallura. In qualità di relatori e referenti del governo regionale, hanno partecipato Fabrizio Anedda (Comunisti italiani) e Augusto Cherchi (Partito dei Sardi), consiglieri di maggioranza e componenti della V Commissione Permanente della RAS. Continua la lettura di Tempio Pausania. Nulla di buono in vista per la sanità sarda→
Nella prima parte della stagione estiva, da più parti, sono pervenute lamentele nei confronti dell’amministrazione comunale a causa dell’incuria di alcune zone della città. Si tratta per lo più di zone periferiche, a differenza di zone centrali più frequentate da turisti le quali ricevono maggiori attenzioni. Queste rimostranze, molte comuni al periodo invernale, hanno più che un fondo di verità.
Ma non tutti i “casi” sono identici in quanto a responsabilità e non sempre le responsabilità riguardano unicamente l’amministrazione comunale. Il caso del rione Lu Spinsateddu, ad esempio, merita un discorso separato. Il terreno non è di proprietà del Comune e non è sua diretta competenza occuparsi della pulizia antincendio. Detto questo, non è accettabile che a fine luglio il terreno di proprietà della Curia, circa tre ettari, versi nell’abbandono con rovi di svariati metri e sterpaglie secche che, per quando “distanti” dal più frequentato Viale della Fonte Nuova, sono tutt’altro che rassicuranti per le decine di famiglie della zona e per la città tutta.
Ciò non significa che l’amministrazione comunale o altri che con essa operano sul territorio (Forestale e Vigili urbani) non abbiano delle responsabilità. Nel caso del Comune la responsabilità è, innanzitutto, politica. La Curia e le parrocchie tempiesi difatti beneficiano periodicamente di finanziamenti pubblici che provengono dalle casse comunali e talvolta regionali, come dimostra il recente stanziamento per la chiesa del Sacro Cuore alla Pischinaccia. Altre zone della città, come appunto la Pischinaccia, versano nell’incuria da anni e non sono state oggetto di sollecito e presa di posizione da parte dell’amministrazione comunale pro-tempore, quasi vi sia una sorta di malcelata reticenza nel considerare la Curia al pari di tutti gli altri cittadini o proprietari soggetti a diritti e doveri del caso.
Ogni anno, ciclicamente, i residenti di Lu Spinsateddu si ritrovano a discutere del solito problema. L’abitudine in passato era quella di sollecitare tramite lettere raccomandate gli uffici dei Vigili urbani e della Forestale, affinché chi di dovere provvedesse in seguito alla pulizia del fondo. Questa prassi ha progressivamente fatto figurare un normale obbligo in capo alla Curia, punibile tramite sanzioni amministrative in caso di inottemperanza, come una gentile concessione della stessa ai residenti.
Nell’anno in corso non è stato effettuato alcun sollecito e difatti i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Dunque ora i sardi, tanto pacifici e dignitosi, chiedono a Francesco Pigliaru e all’amministrazione regionale tutta di fare qualcosa affinché Israele non si eserciti in Sardegna.
Sbaglio o ci siamo spinti davvero fino a questo punto? Mi chiedo, come mai solo Israele? Per quanto non abbia simpatie sioniste, ben’inteso, ma gli statunitensi e gli italiani che sperimentano e poi rivendono armi ad Israele, invece, ci vanno bene? In quel caso castriamo il nostro popolo ma eticamente siamo puliti nei confronti del mondo perché non è tutti i giorni che si fanno 700 morti in una settimana in mondovisione. Come funziona, le servitù militari sono cattive e portatrici di morte se si esercita l’IDF, in tutti gli altri casi si tratta di un argomento “controverso e del quale discutere senza preconcetti antimilitaristi”? O forse in problema non è nemmeno Israele e il suo nazismo, il problema è che ora non si può tacere ed è necessario salvare la faccia dopo aver permesso che la nostra terra venisse bombardata in lungo e in largo con leucemie e malformazioni che si sono prese i nostri bimbi e il nostro futuro. Il problema è che ora ci sono 700 morti e 4.000 feriti, quindi qualcosa bisognerà pur dirla, no?
Bella questa umanità ipocrita, bella l’umanità a geometria variabile, quell’umanità così schifosamente elettorale. All’ipocrisia di fondo si aggiungono passaggi confusi, inquietanti e in pieno politichese come: “il popolo sardo sicuramente non trarrà nessun beneficio da questi ennesimi giochi di guerra in un momento in cui tutto il Bacino del Mediterraneo è scosso da guerre locali ed è soggetto a interessi di nazioni, non meglio identificate, che usano lo jihadismo e il terrorismo per destabilizzare quest’area del mondo nel tentativo di creare conflitti di tipo religioso fra cristiani e islamici“.
Ma come? Le basi militari e le loro attività non ci avevano resi più sicuri e prevenuto l’insurrezionalismo sardo? Non avevano evitato la speculazione edilizia sulle coste? Non avevano reso la Sardegna appetibile per gli investitori internazionali? Il ministro Mauro, un anno fa, non aveva detto di stare buoni con l’antimilitarismo, che la Difesa italiana è il primo datore di lavoro nell’isola? Ingrati, ora vi rimangiate tutto solo perché i palestinesi vi fanno un po’ pena e il fascismo si tollera solo a piccole dosi.
Ad ogni modo, se Pigliaru mette in campo la personalità di nove anni fa per la Vertenza Entrate, o quella di oggi per la libertà di inquinamento industriale e bellico in Sardegna, allora i Palestinesi stanno proprio a cavallo. Stiamo tranquilli, non ne rimarrà uno vivo, e noi in Sardegna continueremo a passarcela sempre peggio. D’altronde, troveremo sempre nel mondo qualche Stato da finanziare e far esercitare per poi raderlo al suolo dieci anni dopo. Ogni riferimento alla Libia e all’Iraq non è puramente casuale.
Tanto più ci si affida a persone con simili curriculum, quanto più cancelliamo la memoria e abdichiamo alla critica con un click, stringendo le catene che soffocano il Popolo sardo e gli altri popoli oppressi. Quando si solleva il tema etico oltre che economico, in giorni in cui Israele non bombarda ospedali, le risposte più diffuse tendono a mortificare l’Etica, a svilirla, portando viscidamente il discorso sui presunti posti di lavoro delle basi militari (sic) e gli indennizzi che Pigliaru pretende, perché un prezzo politico al disastro bisognerà pur darlo, giusto?
Suggerisco la lettura di un articolo pubblicato originariamente su –A -n. 390, giugno 2014. In “Nazioni senza Stato” si presentano innanzitutto dei chiarimenti terminologici introduttivi al dibattito sulle nazioni senza stato, sul riconoscimento nazionale, sul concetto di “nazionalismo” e la lotta politica di matrice socialista, tra cui libertaria e anarchica. Nell’immaginario comune – “nazionalismo” e “anarchismo” – rimandano a un conflitto a priori, una rotta di collisione teorica ancorché pratica. Riprendendo le parole utilizzate dagli autori, c’è da chiedersi chi si prende la responsabilità di liquidare il patrimonio culturale e la conoscenza dei meccanismi sociali emersi dalle lotte di liberazione nazionale come “un pezzo di antiquariato politico o un retaggio della destra fascistoide”.
In un’epoca pervasa dal vacuo “né di destra né di sinistra”, un’ulteriore confusione etimologica non favorisce la maturazione di processi sociali di rivendicazione e di sviluppo socioeconomico. Appare quanto meno doveroso porre un punto di domanda circa una sempre più frequente semplificazione che restringe il campo di analisi, creando così uno stereotipo. Nel sistema di istruzione e nei mass-media il termine “nazionalismo” rimanda a un’idea di governo autoritario, con una struttura istituzionale particolarmente verticistica e caratterizzata da un ceto militare influente, istituzioni che operano in e con un’organizzazione economica di tipo corporativista. In pratica, il Fascismo. Ma questa non è un’uguaglianza ovvia, va provata caso per caso, per ciascun movimento di liberazione e, a sua volta, all’interno di ciascuno nel confronto tra differenti approcci ideologici e pratici.
L’appartenenza ad una comunità o nazione da parte dell’individuo urta implicitamente l’idea libertaria di un mondo intero come patria?Ecco, quindi, alcuni spunti di riflessione per un dibattito su “ismi” apparentemente inconciliabili.
Non esiste unicamente Hamas in Palestina. Nonostante la Rai la citi ossessivamente e spesso a sproposito, è opportuno metabolizzare una volta per tutte come la questione socio-politica sia nettamente più complessa. Svariate organizzazioni lanciano razzi e resistono militarmente in Palestina, come avvenuto in altri luoghi e in altri tempi. Dunque, bando alla retorica. Continua la lettura di Non solo Hamas, c’è anche il Capitalismo. C’è anche il FPLP→
Questo pomeriggio l’artiglieria israeliana ha bombardato l’ospedale Al Aqsa Martyrs in Deir El Balah, nell’area centrale della Striscia di Gaza. Il Direttore dell’Al-Aqsa Hospital, Dott. Kamal Al-Khatib, ha parlato di almeno quattro palestinesi uccisi e svariati feriti. Il fuoco ha colpito l’edificio dell’amministrazione e le sezioni di chirurgia, medicina interna e terapia intensiva. Risulta ferito un numero imprecisato di personale medico e alcune ambulanze danneggiate.
Shujayea, quartiere a est di Gaza City, ha visto il più pesante bombardamento dell’assalto israeliano di 13 giorni su Gaza. Il bombardamento di carri armati e artiglieria pesante ha lasciato 72 morti, la maggior parte dei quali donne e bambini, e oltre 200 feriti, secondo fonti del ministero della salute palestinese.
Il numero dei palestinesi uccisi è salito a 548 e 3.300 sono i feriti dall’inizio dell’operazione israeliana sulla Striscia di Gaza. Sono ormai oltre 85.000 le persone sfollate nelle strutture UNRWA.
L’Autorità palestinese chiede l’intervento internazionale per quello che al-Fath e Hamas definiscono crimine di guerra, ma di guerra è sempre più difficile parlare anche se con l’utilizzo di questo termine si cerca di pareggiare la violenza, giustificarla. Far sembrare l’orrore meno orrido. Che un atteggiamento di questo tipo provenga dalle formazioni maggiori dell’ANP crea più di un disagio.
L’immobilismo e l’ambiguità dell’ANP si fanno via via più pesanti, complice anche la nuova linea politica dettata da un sostenitore storico della causa palestinese, ovvero l’Egitto di al-Sisi. Di fatto per i media occidentali esistono solo le “brutalità” di Hamas e il ruolo più moderato di al-Fath. Nelle ultime ore, come già annunciato nelle scorse settimane, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha espresso la sua posizione in modo risoluto.
L’Autorità Palestinese deve prendersi la responsabilità di dichiarare ufficialmente la Terza Intifada.
Abu Ahmad Fouad, vicesegretario del FPLP, ha rifiutato l’iniziativa egiziana di tregua sottolineando che, in sostanza, essa pone oppressore e oppresso sullo stesso livello facendo passare il Popolo palestinese e la sua coraggiosa resistenza come gli artefici dell’inizio dell’offensiva. Oltretutto ha dichiarato come l’iniziativa egiziana comprendesse punti del tutto ambigui che avrebbero permesso all’occupazione di prendere il controllo del territorio come già sta facendo con quello aereo e marittimo. Molte fazioni dell’ANP non concordano con quell’impostazione e altre non ne sono state messe al corrente adeguatamente prima di annunciare “accordi” dati per condivisi e siglati.
Ahmad Fouad ha inoltre deplorato l’assenza di appoggio dei paesi arabi alla resistenza palestinese e “ai figli del nostro popolo nel suo fronteggiare le continue aggressioni sioniste“.
Aggiornamenti da Gaza. Situazione di particolare emergenza nella zona orientale (Shajaiyeh) e settentrionale (Beit Hanoun) della Striscia di Gaza. Raids incessanti e colpi di artiglieria. Il Ministero della Salute ha condannato l’attacco alle ambulanze nell’area di Shajaiyeh.
Il Ministero fa appello alle organizzazioni internazionali e soprattutto al Comitato Internazionale della Croce Rossa perché obblighino immediatamente Israele a rispettare la legge internazionale e non colpire lo staff medico, chiede una protezione per gli staff che in caso contrario non possono evacuare i feriti dalle zone orientali da cui stanno arrivando un gran numero di richieste di aiuto dalla popolazione. Da fonti locali purtroppo si apprendono molte richieste di aiuto alle quali non si riesce a far fronte. La Croce Rossa non sta rispondendo alle richieste della popolazione, ci sarebbero feriti, donne, giovani, bambini che hanno bisogno di assistenza e le ambulanze non riescono a raggiungere le aree interessate a causa degli attacchi. Anche nel nord della Striscia la popolazione ha difficoltà a ricevere aiuto.
Nel frattempo, i soldati egiziani di Al-Sisi al confine tra Gaza e Egitto hanno impedito a 500 attivisti internazionali a bordo di 11 bus di raggiungere il valico di Gaza per portare aiuti umanitari. Secondo le autorità egiziane, sono stati bloccati per motivi di sicurezza, perché il Sinai sarebbe attualmente un luogo insicuro.
Ieri sono rimasti uccisi 47 palestinesi, 2 soldati governativi e un beduino israeliano. In totale, solo dall’8 luglio, sono morti 343 palestinesi e 5 israeliani. Gli sfollati sono 61.000, accolti in 49 centri dell’UNRWA.
Chi parla di razzi e “reazione israeliana” dopo aver ascoltato un qualsiasi tg che cita ossessivamente Hamas, è necessario faccia un passo indietro, a circa 5 settimane fa. Quando rastrellavano i quartieri a Hebron devastando più di 3.000 abitazioni, quando si sparava ai ragazzini di 13 anni e si facevano morire bambine di 6 mesi in arresto cardiaco perché i soldati occupanti non fanno superare i ceck-point.
Nel frattempo dei tre coloni rapiti e ritrovati cadavere non si parla più, è passato chiaramente in secondo piano. Indagini, prove, inchieste. Nulla. Cose che generalmente accadono nelle “democrazie”, figuriamoci nell’unica in Medio Oriente. In ogni caso, questo non legittima un’aggressione ad un popolo intero e pressoché inerme.
Hebron ha conosciuto tre settimane di rastrellamenti feroci, diurni e notturni, mostrando Israele un’ampia gamma di soprusi e vessazioni. Si contano almeno 10 morti e atti di squadrismo puro da parte dell’esercito e successivamente da parte di “coloni civili”. Questi ultimi, forti dell’aggressività del proprio governo e della benzina sul fuoco gettata da Netanyahu, hanno dato vita a sparatorie da auto in corsa e rapimenti, culminati con il ragazzo palestinese torturato e arso vivo.
Nessun Tg e nessun giornale ne parlava prima dello shock dato da un sedicenne picchiato, costretto a bere benzina e bruciato. L’attenzione era sino a quel momento focalizzata sui tre coloni mentre, anche prima del ritrovamento, i rastrellamenti erano in corso su larga scala, da Hebron, a Ramallah a Nablus, travestendo il tutto come Brother’s Keeper. Anche qualche missile SU Gaza, ma ancora non c’era abbastanza sangue per far partire la campagna di disinformazione.
Per queste ragioni le vittime, i feriti, gli sfollati, i danni economici sono sottostimati. La stampa italiana confeziona la disinformazione e l’Hamas è il focus di tutto. Poi ci si inizia ad impietosire, e a giustificare Israele, dai 20/30 morti in su, un po’ come per i migranti. Questo ultimo mese in Palestina è molto più complesso, spietato e strumentalizzato di quanto possa apparire. Tutto appare come scientificamente programmato, step dopo step, provocazione dopo provocazione. A mio parere, l’ipotesi false-flag israeliano sulla morte dei tre coloni, spiegherebbe molto bene tante contraddizioni mediatiche e l’ipocrisia israeliana che parla in conferenza stampa di operazione limitata quando colonne di migliaia di soldati chiudevano Hebron trasformandola in un carcere a cielo aperto. Si entrava, ma non si poteva uscire. Provate ad immaginare l’effetto che avrebbe su di voi essere richiusi in una città infestata da migliaia di militari che rastrellano a tappeto per 21 giorni di seguito.
Da Hebron attualmente giungono notizie secondo le quali l’esercito israeliano non sia ancora entrato nella Striscia: la Resistenza palestinese si sta organizzando in modo determinato e pronto a tutto per difendere Gaza.
Sono tanti i conflitti nel mondo dimenticati, spesso perché scomodi. Sono tanti i popoli oppressi in lotta. Alcune rivoluzioni non occupano nei media lo stesso spazio di altre. Alcune sono finte rivoluzioni, come dimostra il caso più recente dell’Ucraina nella quale la svolta neo-fascista e neo-nazista viene sponsorizzata da praticamente mezzo mondo. Unione Europea in testa, s’intende, e incluso, manco a dirlo, il governo Renzi che parla anche lì e non solo a Roma di incoraggiamento sulla via delle riforme. Continua la lettura di Bahrein: una Rivoluzione vera, una Rivoluzione scomoda→