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Sviluppo Umano. Adam Smith, Capitalismo e Laissez-faire (prima parte)

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Sviluppo Umano. Dalla critica del pensiero alla critica dell’economia capitalista (Introduzione)

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Gli ultimi decenni hanno assistito al dilagare dell’utilitarismo economico e dei suoi stereotipi culturali in ogni ramo della società civile e della produzione, coinvolgendo anche quei settori storicamente associati a pubbliche funzioni per le quali – a grandi linee – ci si è sempre tenuti a debita distanza da approcci orientati al profitto individuale o di poche corporazioni.

Prima che Amartya Kumar Sen (di seguito Sen, Santiniketan, 1933 – vivente) si concentrasse su un nuovo modo di concepire l’economia, aprendo nuovi spazi di analisi e di dibattito economico e politico, ha analizzato una corposa letteratura pregressa. Un nuovo approccio economico (non un modello, meno che mai una ricetta) come lo Sviluppo Umano (di seguito SU) e le politiche pubbliche che ne conseguono non partono quindi dall’anno zero.

Gli studiosi dello SU hanno formalizzato ed esteso concetti già presenti nella Storia in generale e in quella del Pensiero economico nello specifico. Lo SU riguarda tutti gli ambiti fondamentali dello sviluppo economico e sociale, aspetti che per loro natura si trovano da secoli al centro della vita degli individui, ancorché in molti casi siano stati formalizzati e istituzionalizzati in tempi recenti mentre, a livello sostanziale, ancora oggi diffusamente si è lontani da un pieno compimento.

Ci si riferisce così alla promozione dei diritti umani e all’appoggio alle istituzioni locali, al diritto alla convivenza pacifica, alla difesa dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile delle risorse territoriali, lo sviluppo dei servizi sanitari e sociali con attenzione prioritaria ai problemi più diffusi ed ai gruppi più vulnerabili, il miglioramento dell’educazione e dell’informazione della popolazione, con particolare attenzione all’educazione di base, lo sviluppo economico locale, l’alfabetizzazione e l’educazione allo sviluppo, la partecipazione democratica, l’equità delle opportunità di sviluppo e d’inserimento nella vita sociale.

I “segni” più visibili e comunemente conosciuti circa lo SU sono rappresentati con dalla nascita del Human Development Report da parte dell’ONU (1992) e il Premio Nobel all’Economia ad Amarthya Sen assegnato nel 1998.

Alcune radici filosofiche e logiche dell’approccio moderno allo Sviluppo Umano.

È opportuno precisare che le origini dello SU sono da rintracciarsi primariamente nella differenza di un giudizio valoriale sulla disciplina economica come parte integrata e integrante della ricerca sociale. Frequentemente si tende a risolvere la questione alla radice e affermare posizioni che tendono a sterilizzare l’analisi economica da qualsiasi giudizio etico e morale. Un celebre neoliberista, Milton Friedman, alla domanda sul ruolo sociale e le implicazioni etiche delle attività economiche rispondeva semplicemente che “lo scopo degli affari sono gli affari!” (gioco di parole: the business of business is business!).

Come si vedrà meglio in seguito, Sen non ha mai nascosto la propria ammirazione e  non ha mancato di attingere al contributo del “padre dell’economia” ed (erroneamente) fautore del moderno Capitalismo: Adam Smith.

Una prima premessa quindi va fatta piuttosto sul pensiero economico e su come l’economia venga comunemente percepita e istituzionalmente organizzata. La presenza di tematiche economiche in ogni fonte di informazione, esposte in modo più o meno rigoroso e con cognizione di causa variabile, ha portato nell’immaginario collettivo l’idea di un’economia totalizzante, ossessiva, vista prevalentemente come portatrice di nuove tasse, di nuove e vecchie “crisi” e sventure in genere. Il termine economia è diventato progressivamente un contenitore nel quale inserire le cause di un po’ tutto ciò che scontentasse l’opinione pubblica, sino a far inquadrare “l’economia” come autoreferenziale e astratta. Ciò ha originato due conseguenze principali e strettamente interrelate. La prima è stata far intendere l’esistenza di un unico pensiero economico e la seconda è il disinteresse crescente nel dibattito pubblico circa il pensiero economico e l’esistenza di una grezzamente nota “altra economia”. La progressiva finanziarizzazione dei rapporti economici e la speculazione monetaria hanno fatto il resto nel confondere l’opinione pubblica e creare grandi “luoghi comuni” economici. Progressivamente questi elementi hanno dato vita ad un paradosso all’interno dell’ampio mondo delle scienze sociali. Da un lato, alcune discipline sono state esaltate nel loro aspetto ingegneristico mentre dall’altro si sono svilite e stigmatizzate materie come la sociologia, la filosofia e l’antropologia. Ad essere formalmente precisi anche quanto appena scritto non è corretto: l’economia non è una disciplina a se stante e nell’ambito della ricerca sociale sono altrettanto fondamentali le materie oggetto di oscurantismo sopracitate e sono così fondamentali dal renderne persino pericoloso il distacco. In questo lo SU costituisce una sorta di ponte che riequilibri il peso delle varie discipline all’interno della ricerca sociale.

In senso stretto l’economia è una “disciplina multidisciplinare” in quanto gli studi economici affondano le loro radici nell’Etica, da un lato, mentre dall’altro si rifanno all’Ingegneria. Entrambe questi aspetti si ricollegano, gioco forza, alla Politica e oltre risalire a studiosi quali Adam Smith e Karl Marx, l’idea dell’economia al servizio della politica viene fatta propria già da Aristotele in Etica Nicomachea.

La concezione dell’economia al servizio delle scelte politiche è antitetica all’esaltazione del suo aspetto ingegneristico che degenera in forme di tecnocrazia statale e perde completamente la percezione della realtà a livello di peculiari sistemi socioeconomici meno estesi. In questo modo le scelte di politica economica che derivano dalla reale rappresentanza dei cittadini e di processi decisionali dal basso, vengono sostituiti dal volere e dagli scopi riferibili ai detentori dei mezzi di produzione in un preciso momento storico. Così facendo tali decisioni esulano sempre più dai processi democratici che dovrebbero essere in realtà essere ben più estesi e profondi.

Molti continueranno a pensare: cosa hanno in comune Etica ed l’Economia? Cosa possono avere in comune principi morali e soldi? Si potrebbe rispondere citando l’espressione diritto di proprietà, che rimanda da un aspetto giuridico-politico ad uno puramente economico-monetario. Il secondo è la diretta conseguenza del primo. Per questa ragione nell’insegnamento dell’economia spesso il punto di partenza non riguarda un elemento giuridico o politico. L’economia parte dal considerare date certe condizioni. Ad esempio, Y= f (K;L), nota come funzione di produzione dell’impresa. Questa equazione rimanda costantemente ad un sistema economico improntato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione. Questo non è l’unico approccio economico esistente e la funzione di produzione dell’impresa non è il fulcro sul quale basare il nostro sistema di vita.

Tale sistema discende da una specifica organizzazione giuridica e degli equilibri politici all’interno della società che, per definizione, non sono immutabili. Come si vedrà meglio in seguito, Etica ed Economia hanno molto in comune mentre, d’altro canto, gran parte degli assunti capitalistici e neoliberisti costituiscono forzature e palesano lacune da un punto di vista prima di tutto logico ancorché umano.

Non solo gli indipendentisti. Anche al Guardian i programmi di Piscedda (PD) non convincono.

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Anche al The Guardian Valter Piscedda, sindaco di Elmas, non convince. Il Partito Democratico esporta modelli in Europa mentre il sindaco Piscedda e il contestato programma pubblico – Adesso Parto – vengono passati ai raggi x in un lungo articolo sulla vicenda. Oltre lo stupore iniziale che condiziona il titolo dell’intervista – “Sardinian town finds novel way to cut unemployment: pay people to leave” – trovano ampio spazio le ragioni di Piscedda che argomenta sull’inusuale tecnica per ridurre la disoccupazione: l’emigrazione. L’articolo a firma di Lizzy Davies riporta alcune interessanti dichiarazioni sui 12.000 euro del programma pubblico di Elmas.

http://www.theguardian.com/world/2014/sep/23/sardinian-town-novel-way-cut-unemployment-pay-people-to-leave

Alcune in particolare mostrano l’ottimismo di un programma a metà tra l’elemosina assistenziale e la politica attiva per il lavoro. “It’s a programme for those with no other resource; it’s the last-chance saloon. It’s about allowing them the dignity of not having to ask a friend for money or place burdens on families that cannot do it” – ha dichiarato il sindaco.

The last-chance saloon. Un po’ più ottimista e altruista del collega di partito Sanna, sindaco di Sassari.

Ironia a parte, la situazione in Sardegna sta raggiungendo un clima da guerra civile. Il programma in se e la supponenza mostrata dal sindaco rendono il clima sempre più teso. Si spera che nell’esporre le sue ragioni lo stesso sia completamente inconsapevole della gravità del fatto e delle opinioni espresse. Quasi risentito, espone le sue ragioni ammantate di logica e raziocinio, dimostrando per l’ennesima volta il vero volto del Partito Democratico e della classe dirigente italiana in Sardegna.

Indipendentismo è una parola pesante: il caso Veneto

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L’arresto dei 24 “eversivi” veneti sta incendiando il dibattito politico, con dichiarazioni e prese di posizione a dir spesso ambigue e approssimative. Le ennesime accuse di terrorismo da parte dello Stato italiano ad un insieme di personaggi piuttosto eterogeneo merita attenzione ed un discorso più approfondito.

La politica interna dello Stato italiano nell’ultimo decennio si è contraddistinta per aver visto l’etichetta di eversore o terrorista un po’ ovunque, come dimostra la durissima repressione subita dalla sinistra indipendentista in Sardegna negli anni 2000 e le accuse a suon di 270 e 270-bis su cui sono stati costruiti castelli accusatori privi di ogni ragione. O come dimostrano altre lotte sul territorio in svariate parti dell’Italia, dove si reprimono migliaia di attivisti che si difendono da speculazione e sfruttamento.

La presenza di una forte componente neofascista nella vita politica del Veneto non è una novità. Storicamente basti pensare ai collegamenti tra cellule neo-naziste veronesi e i servizi dello stesso Stato italiano che, dal canto suo, nei decenni scorsi ve(de)va ed utilizzava di buon grado il rigurgito nazifascista “come argine ad un’avanzata comunista”.

Ciò che oggi più occorre è fare chiarezza sul concetto di indipendentismo, considerando che tra le varie componenti indipendentiste venete esistono formazioni politiche riferibili ad un’area di sinistra, come il caso di SANCA, Sinistra Indipendentista Veneta o Unità Popolare Veneta.

Quindi il punto non è indipendenza: “sì o no”. Il punto è: indipendenza sì, ma come? In direzione di cosa? Generalmente un’opera di emancipazione sociale ha terreno fertile in un’area di sinistra in quanto la dominazione di uno Stato su una Nazione senza Stato, la colonizzazione, avviene attraverso meccanismi di sfruttamento capitalista e lo sfruttamento capitalista dispiega al meglio le proprie forze all’interno di una società fortemente corporativista.

La questione veneta si sta prestando ad una miriade di strumentalizzazioni e inesattezze. Le più comuni riguardano il recente referendum, basato sulla proposta di legge 342 del 2013 per l’indizione della consultazione la cui base giuridica principale è la Legge n. 340, del 1971. L’articolo 2 riconosce esplicitamente il diritto all’autogoverno del popolo veneto che “si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia”.

Ritengo che l”indipendenza non sia un fatto casuale o un mero proclama, bensì l’affermazione di una posizione politica. La sua dichiarazione è il mezzo attraverso il quale un processo di emancipazione sociale riceve nuovo impulso – in modo da proseguire un’azione politica preparatoria e di visione per il raggiungimento dell’indipendenza –  e al contempo proattiva per il modello di società che attraverso l’indipendenza si vuole costruire, o meglio completare in quanto si è già inciso nella maturazione politica e sociale che alla dichiarazione stessa hanno condotto. L’indipendenza non è un evento deterministico, sarebbe troppo facile. L’indipendenza è un processo politico, con le sue ambiguità e i suoi tempi.

Di conseguenza, data la scarsità di informazioni, è necessario partire da posizioni politiche certe. Chi ha promosso, in sostanza, questo progetto di legge 342? L’importanza è cruciale anche alla luce dei trascorsi referendari per il popolo veneto. Nel 1866 il referendum riguardava la cessione del Veneto, dalla Francia al Regno d’Italia, da parte di Napoleone III. In seguito alle pressioni da parte dei Savoia affinché il Veneto fosse annesso, la regione fu controllata de facto ancor prima che si rispettasse la clausola napoleonica di consultazione delle popolazioni. La bontà di questo passaggio, cruciale nella storia veneta, porta con se molti dubbi, ad iniziare dai numeri: 646.789 sì; 69 no. Varie fonti obiettano un plebiscito organizzato con le truppe del Regno d’Italia già in pieno controllo delle fortezze militari e del Veneto tutto.

Concluso questo cenno storico, si nota come l’elenco dei “proponenti” del referendum odierno sia piuttosto nutrito: 16 consiglieri regionali su 60. Hanno sottoscritto la 342: Valdegamberi, Sandri, Corazzari, Caner, Cappon, Fineo, Furlanetto, Lazzarini, Possamai, Toscani, Ciambetti, Finozzi, Manzato, Tosato, Baggio e Conte. Finozzi e Manzato sono anche assessori regionali, rispettivamente, al Turismo e Commercio Estero e all’Agricoltura. Quasi tutti i firmatari fanno parte della Lega Nord, ad eccezione di Valdemberghi (UDC). Di fatto 15/20 del “consiglio leghista” hanno firmato a favore dell’indizione del referendum.

La Lega Nord, semplicemente, può essere annoverata tra partiti di stampo xenofobo e reazionario ma difficilmente può essere considerato un partito secessionista e tanto meno indipendentista. L’ultimo ventennio ha fornito sufficienti prove per cui non è il caso di dilungarsi sull’analizzare il “fenomeno Lega”.

Insomma, dal recente referendum non emerge alcun nuovo progetto politico, nessun exploit di formazioni minoritarie che si sono fatte strada forti della maturazione di un progetto politico territorio per territorio. Nulla di tutto ciò.

L’impressione è che nell’area indipendentista veneta la situazione sia ancora più intricata rispetto a quella sarda nella quale milito. La citata SANCA, ad esempio, esprime solidarietà a tutti gli arrestati, ma in particolare Franco Rocchetta, ex-Liga (una delle sei formazioni politiche dalle quali negli anni’ 80 nacque la Lega) e Riccardo Lovato, di Unità Popolare Veneta, organizzazione politica che ha l’obiettivo di creare una sintesi tra ideali socialisti, lotta per l’autodeterminazione dei territori veneti e difesa dell’identità nazionale del popolo veneto.

Da un certo punto di vista, si percepisce la malcelata intenzione di gettare discredito verso il concetto di indipendenza in sé; la popolazione si nutre di un’informazione che fa pane quotidiano del sensazionalismo e dello scarso approfondimento. Lo sciovinismo italiano ammorba ogni rivolo dell’informazione, dell’approfondimento politico e dell’istruzione, dagli asili alle università, svuotando di significato – e quindi appiattendo il dibattito conseguente – i concetti di autodeterminazione e indipendenza. A questo si aggiunge un voto clientelare diffuso in ogni ramo della pubblica amministrazione e del mercato del lavoro privato. A proposito di folklore e referendum, anche in Sardegna recentemente si è avuta una chiamata in 2.0 da parte del PSD’Az, da legislature oramai accodato a FI, Fratelli d’Italia, UDC e altri minori; più in generale, la tendenza è quella al travestimento di indipendentismo in periodo elettorale, in modo da tamponare l’emorragia di consensi per formazioni politiche italiane.

Quante volte si è imbonita la popolazione con la versione che vede gli indipendentisti, ancorché di destra o sinistra, soffiare sulle braci della crisi con finalità eversive e violente? La riattualizzazione del consenso in aree sotto la giurisdizione italiana avviene con questo meccanismo, ma al contrario; data la crisi e la disperazione, complice la disinformazione dilagante, personaggi già noti possono ammantarsi di “ideali indipendentisti” ripresentandosi in salsa identitaria. Per questo è bene ricordare che il Veneto sarà chiamato al voto regionale nella primavera del 2015.

Tornando al referendum, la 342 impone esplicitamente le operazioni di voto il giorno domenica 6 ottobre 2013 dalle ore 7.00 alle ore 22.00 con lo spoglio alla chiusura delle urne e la successiva comunicazione dei risultati all’ufficio competente della Corte d’Appello di Venezia.

Quanto è politicamente opportuno che tramite un voto on-line si possa procedere a dichiarare l’indipendenza di una Nazione? L’indipendenza di un popolo e la sua autodeterminazione rappresentano un processo socioeconomico che attraversa alcune fasi cruciali come, appunto, la proclamazione. Questo risulta essere un momento complesso e delicato, storicamente legato a circostanze rivoluzionarie; per non considerare poi la manovrabilità e la poca trasparenza relativa ai “milioni di votanti”: non si ha un numero ufficiale e varie fonti parlano di un numero di votanti compreso tra 100 e 200.000.

I politici del 2.0, forse, dovranno ricredersi sul reale campo di utilizzo di uno strumento come la rete, oramai assimilata demagogicamente ad un fine ultimo piuttosto che strumento complementare di attività politica sul territorio. Oltretutto, la 342 non prevede alcun voto on-line, a differenza di quanto accaduto con il referendum dal quesito: “Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana? Si o no?”

A complicare una vicenda quanto meno contorta si aggiunge il Corriere del Veneto che ha sollevato in un recente articolo più d’una perplessità.  “Il sito corrispondente all’indirizzo 54.83.13.17 registrato da Gianluca Busato a Klapparstigur 101 Reykjavik (Islanda) e con webserver ad Ashburn in Virginia, presso la società Amazon Technologies, registra nella settimana del referendum tra le 25 e le 30 mila visite al giorno, dato che supera di poco le centomila visite totali riferite dagli altri due contatori” – scrive Alessio Antonini.

In un modo o nell’altro, la Lega e le sue ambiguità si trovano nuovamente al centro di equilibri politici italiani, come altrettanto ambigua è la figura di Busato, l’ex Lega Nord che nell’ultimo decennio ha dato vita a svariate organizzazioni politiche.

In queste acque torbide allo Stato italiano non manca il pugno duro verso le istanze indipendentiste in Italia e in Europa, con il Prefetto Carlo De Stefano, presidente della Fondazione ICSA (Intelligence Culture and Strategic Analysis) che addirittura chiede mappature e controlli con modalità nuove, un po’ come ai tempi del defunto Manganelli che in Parlamento parlava di avanzante insurrezionalismo e Pisanu con il suo teorema sull’eversione sarda.

Di nuovo, per l’ennesima volta, al di là della struttura di un progetto politico, delle sue posizioni, degli obiettivi a breve e lungo termine, lo Stato italiano ottiene un gran risultato: far coincidere nell’immaginario collettivo “indipendentismo” con “folclore” o, all’opposto, con “terrorismo”. In ogni caso, da evitare.

Non sarebbe la prima volta.

Tempio Pausania. Morbosità: no grazie.

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“La Calunnia”, di Sandro Botticelli, 1496. Tempera su  tavola.

Le righe che seguono riguardano un increscioso episodio verificatosi a Tempio nelle settimane passate. L’episodio ha riguardato un attacco personale nei confronti di un marito sorpreso, secondo la diffamazione circolata, a tradire la coniuge con un presunto uomo. Nelle versioni più fantasiose, secondo la diffamazione circolata, questa persona avrebbe più amanti e non tutti dello stesso sesso; sarebbe scappato da casa oppure sbattuto fuori, ed in ultima analisi anche perdonato e ripreso nell’ambiente domestico.

Questo episodio, del quale la famiglia interessata ha smentito qualsiasi fondatezza, ripropone in modo preoccupante (e per l’ennesima volta in pochi mesi) il livello di morbosità raggiunto da quella che qualcuno chiama opinione pubblica nella città di Tempio. Chiacchiere e pettegolezzi  in alcuni casi possono essere in un certo qual senso comprensibili, a causa di eventi più o meno concitati e inusuali in una comunità di poche migliaia di abitanti. In questo caso però la situazione appare, sotto questo profilo, molto più grave e totalmente priva di fondamento.

La preoccupazione nasce dal fatto che si voglia minare intenzionalmente la serenità di una persona e della propria famiglia, al di là dei “ricami” successivi e le versioni che vengono infarcite di nuovi, quanto falsi, particolari.

Per queste ragioni i diretti interessati, che nel frattempo hanno nominato un legale, stanno risalendo all’origine di questa catena di diffamazione artificiosamente creata con il dovuto anticipo. Fanno quindi appello a quella parte di cittadinanza sana che sia disponibile a fornire privatamente informazioni utili (e reali) al fine di individuare origine e scopi di tale diffamazione e per porre la parola fine a questa brutta pagina per la città di Tempio.

La Rete Pesa Sardigna sul rinvio della prima udienza del processo di Quirra.

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La Rete Pesa Sardigna prende atto dello spostamento della prima udienza del processo per disastro ambientale a carico di alcuni generali dell’Esercito Italiano che hanno diretto nel passato il Poligono Interforze del Salto di Quirra.

L’udienza è quindi fissata per il 29 ottobre e noi saremo davanti al Tribunale di Lanusei ad esigere con voce ferma verità e giustizia per le vittime del poligono.

La Rete Pesa Sardigna crede che l’occupazione militare della nostra isola possa essere smantellata soltanto da una forte e decisa leva popolare. La Rete Pesa Sardigna è aperta a tutti i sardi che si riconoscono nella rivendicazione minima dei seguenti diritti:

Chiusura immediata e senza condizioni dei tre poligoni di Capo Frasca, Capo Teulada e Quirra.

Bonifica dei territori a terra e a mare a spese dello Stato italiano.

Ogni passo indietro rispetto a questa piattaforma minima costituisce una offesa alla dignità di un popolo stanco e un abuso insopportabile alla sua proverbiale pazienza.

La Rete Pesa Sardigna chiama dunque i sardi davanti al tribunale di Lanusei il 29 ottobre alle ore 9:30. Saremo presenti in maniera significativa per lanciare un segnale forte e chiaro: è maturo il tempo per liberare la nostra terra dall’occupazione militare e per costruire un futuro di prosperità e libertà!

Tempio Pausania. Abbanoa, oltre i disagi. Probabile servizio contingentato 06:00/18:00

abbanoa_logoI disagi a Tempio Pausania sul fronte Abbanoa sono divenuti oramai insostenibili. L’interruzione del servizio idrico in molte zone della città non viene più notificata in anticipo e i disagi sono sempre più frequenti e prolungati, coinvolgendo civili abitazioni e attività commerciali.

Il centro dell’Alta Gallura si trova di fronte ad una situazione a dir poco paradossale. Uno dei territori con maggiore abbondanza di acqua di tutta la Sardegna, situato ai piedi del Monte Limbara e con una diga di recente costruzione, Lu Pagghjolu, continua ad approvvigionarsi da Pattada. L’invaso di Lu Pagghjolu era nato con l’intento di creare una fonte di approvvigionamento idrico per la ZIR e sostenere così le attività produttive rendendole più competitive. Questo non è mai avvenuto e nel frattempo le imprese a quella che è la commissariata ZIR sono meno numerose e sempre più in crisi.

Il costo per utilizzare Lu Pagghjolu per l’approvvigionamento cittadino, slegando la comunità dai problemi e guasti che si verificano a Pattada, pare aggirarsi intorno ai sei milioni di euro.  Una cifra tutto sommato contenuta.

Nell’ultimo anno i disservizi sono aumentati in modo evidente e ora si parla addirittura di un’interruzione permanente dalle 18:00 alle 6:00. A dire il vero in molte attività e abitazioni di Tempio i rubinetti da settimane rimangono all’asciutto anche in orari non compresi nella restrizione. Abbanoa, dal canto suo, tace.

http://www.ilminuto.info/2014/09/tempio-pausania-disagi-sul-fronte-abbanoa/

Lanusei, processo di Quirra: l’udienza slitta al 29 ottobre.

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Si infiamma il dibattito sull’occupazione militare in Sardegna e per la prima volta dopo anni si assiste ad un’ampia risposta popolare e una consapevolezza sempre più diffusa. Dopo la grande Manifestada Natzionale di Capo Frasca, appuntamento successivo a Lanusei indetto dalla Rete “Pesa Sardigna” per la prima udienza del processo di Quirra che vede alla sbarra otto graduati della Difesa, comandanti del Poligono Interforze del Salto di Quirra nell’ultimo decennio.

L’udienza prevista per il 23 settembre è stata aggiornata dal giudice Nicola Caschili al 29 ottobre. Un segno inequivocabile che il dibattito e l’attenzione sul tema sono alti come non mai, tanto sull’occupazione militare e i tre Poligoni quanto su aspetti specifici come il caso di Quirra e il relativo processo.

Nessuna indagine di Stato può portare ad una vera giustizia senza l’adeguata attenzione popolare e un dibattito che sia quanto più incisivo possibile. In questo momento in Sardegna non vengono esplosi solo ordigni bellici, come negli ultimi sessant’anni, ma stanno deflagrando tutte le contraddizioni dello Stato italiano e i suoi interessi miliardari nell’Isola, coltivati per decenni sulla pelle delle popolazioni compromettendo e occultando gli enormi danni all’ambiente, alla salute e all’economia delle comunità.

Quirra e tutto il PISQ rappresentano probabilmente la pagina più vergognosa dell’occupazione militare italiana e le intenzioni dello Stato sono da tempo quelle di concentrare le attività di Capo Frasca e Teulada proprio nel PISQ, riuscendo a preservare il business più redditizio: la sperimentazione di armi per gli eserciti di tutto il mondo, l’expò permanente delle industrie belliche italiane rientranti spesso nell’orbita Finmeccanica.

Affari miliardari per lobbies legate a filo doppio a Stato italiano e NATO, oltre agli incassi diretti per la Difesa provenienti dall’affitto del Poligono per decine di migliaia di euro l’ora: ciò che accade a Quirra non può accadere da nessuna altra parte d’Europa. Con i suoi 14.000 ettari il PISQ è il Poligono più grande d’Europa, inserito in Sardegna, la Nazione più militarizzata d’Occidente.