Covid-19, più essenziale dell’azienda è la salute della forza lavoro
È nota la riluttanza di Vincenzo Boccia, presidente della Confindustria italiana, riguardo l’attuazione di tempestive e drastiche misure al fine di contenere la diffusione del Covid-19. Nelle settimane passate associazioni datoriali, ma anche sindacali italiane e forze politiche, hanno spinto per non ridurre subito la produzione, accumulando un forte ritardo nel dotare la forza lavoro impiegata di adeguati strumenti di protezione, al pari di quanto accaduto sul versante pubblico negli ospedali. Nel dibattito su “chiusura o meno”, controlli e misure di sicurezza a tutela della forza lavoro sono passate in secondo piano. Oltretutto, fino ai primissimi giorni di marzo venivano lanciate campagne per non fermare movide e altro.
La situazione è inevitabilmente peggiorata nell’ultima settimana con la pendenza della curva simile ad una verticale, con nuovi contagi registrati nell’ordine di 4-5 mila al giorno e decessi per 600-800 unità, in larga parte nelle aree più colpite della Lombardia e Emilia Romagna. Tra l’altro, questo era un andamento previsto.
Si è invertito anche il meccanismo sovra-sotto stima. Fino a meno di due settimane fa il dibattito era ancora incentrato sulla retorica “anche con e non di Covid”. Oggi l’evidenza pratica è contraria, nei contesti più gravi del focolaio nord italiano, ma anche altrove, i morti possono essere sottostimati perché non ci sono mezzi per analizzare prontamente cause, circoscrivere l’ulteriore eventuale contagio e aggiornare i dati con precisione. Diversi i casi di solitari decessi in casa.
In questo contesto, il distanziamento sociale ha riguardato assembramenti pubblici, libertà individuali e collettive, larga parte dei servizi privati, piccolo-medio commercio e un’ampia schiera di servizi pubblici non essenziali. Alle limitazioni, anche tardive, delle attività economiche e di un’ampia fascia di popolazione fanno da contraltare molte realtà aziendali che, in una situazione sempre più critica, hanno proseguito la propria produzione. La forza lavoro impiegata non è stata e non è, di fatto, tutelata adeguatamente a scapito della salute pubblica che le norme, per altri molto restrittive, dovrebbero garantire.
Mentre liberi professionisti, commercianti, micro industrie e una larga parte di lavoratori pubblici e privati pensano al crollo delle proprie attività e redditi, alla libertà di movimento e altre restrizioni, una fascia di popolazione continua forzatamente a spostarsi e produrre, molto spesso senza dovute garanzie. La forza lavoro è stata scarsamente tutelata dal principio dell’epidemia e, anche dove queste tutele sono state previste, i tempi sono stati molto lunghi e i controlli piuttosto indulgenti. Ancora oggi, però, in grandi catene commerciali e industrie la tutela della forza lavoro è carente come lo è, si ribadisce, persino nel personale ospedaliero o socio-assistenziale di case di riposo e strutture affini.
Se è vero che il blocco totale del sistema socioeconomico può causare danni rimarginabili in anni e anni, se non decenni, è anche vero che realtà industriali e del grande commercio, se mal gestite, sono vere e proprie bombe sanitarie al pari di affollati bar e ristoranti, altre attività commerciali, servizi professionali e uffici pubblici. A questo si aggiunga che, in assenza di forti politiche redistributive, il debito contratto per sostenere i ceti più colpiti verrà ripagato nel tempo proprio dalle fasce più danneggiate acuendo nel corso dei prossimi anni diseguaglianze, già in forte crescita da almeno tre decenni. Insomma la domanda non è solo chi sta pagando di più ora ma anche chi pagherà maggiormente in futuro.
Se la situazione sarda non è paragonabile a livello industriale al nord Italia e all’espansione del relativo focolaio, sono comunque presenti alcune situazioni molto critiche come Saras-Sarlux e Vitrociset, considerate industrie strategiche e non bloccate dai diversi Dpcm, oltre alla tutela del personale del commercio e la triste condizione di quello di ospedali e residenze assistite, in particolare nel nord Sardegna. Oltretutto, in Gallura è presente un rilevante Distretto industriale sughericolo che, nonostante crisi e alterne vicende, conta ancora centinaia di operai e operaie. Focolai in alta Gallura sarebbero difficilmente gestibili in quanto l’ospedale di Tempio è sprovvisto di terapie intensive e sub-intensive mentre i nosocomi più vicini sono a decine di chilometri. La viabilità gioca un ruolo cruciale dal momento che si tratta della provincia più estesa di tutto lo Stato e l’Unione dei Comuni “Alta Gallura” è la più vasta di tutte le Unioni sarde e italiane.
Il virus non guarda fatturati o produzioni ma protezioni, fattori di contagio e profilassi. Se è vero come è vero vadano, anche e soprattutto in un momento di crisi, tutelate produzioni strategiche e, in generale, la tenuta socioeconomica della collettività, è altrettanto evidente che i costi sofferti da ampie fasce della popolazione non possono essere vanificati da centinaia di operai o commessi senza adeguata sicurezza. Questo è ancor più incoerente alla luce dell’intenzione di impedire – salvo dietrofront anche su pressione dell’ANCI Sardegna – autoproduzione in sconfinate campagne o limitare, secondo qualcuno, il contagio con sorveglianza militare o, ancora, scoraggiare comportamenti con droni parlanti e deficienti campagne di sensibilizzazione su “decisioni individuali”.
In un certo qual senso anche le decisioni organizzative della produzione sono comportamenti individuali delle proprietà di grande commercio e industrie e, come tali, dovrebbero conformarsi ad una responsabilità legale, sociale e di pubblica sicurezza. Il rischio concreto è quello dell’esplosione di focolai con conseguenti costi umani ed economici in seguito ancora maggiori, oltre all’esasperazione di tensioni e conflitti sociali dai risvolti difficilmente prevedibili.
Biciclette, corse e molte altre attività quotidiane possono essere, in larga parte, sacrificate per alcune settimane. D’altra parte, edulcorare il podista, il campagnolo in luoghi semi spopolati o chi vìola norme di sicurezza è demagogico se reparti ospedalieri registrano più personale contagiato rispetto alla popolazione, oltre numerosi contagi e decessi nelle case di riposo. È contraddittorio anche in relazione a reparti industriali o distribuzione commerciale dove non si assicura adeguata protezione alla forza lavoro. Questa garanzia non è certo un onere in capo ai lavoratori o lavoratrici stesse.
Il punto è quindi pratico: è possibile assicurare una continuazione della produzione, anche a regime ridotto, con la sicurezza della forza lavoro impiegata e, se sì, come le proprietà stanno garantendo questi standard di sicurezza? Chi sta eseguendo controlli? Che risultati stanno dando le verifiche? Ignorare, semplicemente, la questione non è una soluzione ma pura esternalizzazione sulla collettività. Il punto qui non è tanto l’essenzialità della produzione o la tenuta di un comparto, ma come l’attività specifica venga concretamente gestita in termini di procedure, sanificazione e protezioni. L’essere definita strategica o essenziale non deve mai essere ragione per allentare la sicurezza sulla forza lavoro impiegata.
Le responsabilità e i comportamenti in questione sono prima di tutto dirigenziali e organizzativi. Nei cd “comportamenti individuali”, accettandone l’espressione, rientra infatti un ampio e indefinito spettro di situazioni. Tutti i comportamenti hanno, sempre e comunque, conseguenze collettive seppur con gradazioni ed effetti diversi. Dal singolo cittadino, al piccolo agricoltore o commerciante fino al grande industriale. Il Covid-19 e la capacità di carico degli ospedali sono insensibili ai fatturati.
“È
con il massimo allarme che segnalo la situazione venutasi a creare
nell’Ospedale Paolo Dettori di Tempio Pausania che, prima per il caso del
reparto di Ortopedia, ora per ciò che sta accadendo nel reparto di Medicina,
rischia di diventare un vero e proprio focolaio per la diffusione del
virus. Giungono richieste di intervento da parte di medici e operatori sanitari
che indicano la presenza di un paziente positivo nel reparto di medicina in
isolamento che non è possibile trasferire nella sezione COVID-19, né
possono essere dimessi o spostati gli altri pazienti ricoverati perché non
sono disponibili tamponi da eseguire su di loro. A fronte di tale dato
accertato, risulta che il reparto non è stato chiuso, non è stato sanificato,
i pazienti sono tuttora ricoverati, i medici e il personale paramedico, gli
OSS, oltre agli addetti dei vari servizi collaterali quali quello di pulizia,
non sono stati sottoposti ad alcuna misura di sicurezza per limitare il
contagio, non sono stati sottoposti a test con i tamponi rinofaringei, non sono
stati isolati o messi in quarantena ma gli è stato detto di limitarsi agli
spostamenti casa-ospedale per continuare il proprio lavoro”.
Con
queste drammatiche e inquietanti parole si apre un vero e proprio grido d’allarme
contenuto in una lettera di Gianni Addis, vicesindacodi Tempio
Pausania. La situazione in cui versa in nosocomio gallurese è gravissima. Addis,
anche a nome di tutti i sindaci dell’Unione Alta Gallura e del Distretto sanitario
di Tempio, rivolge il suo appello direttamente e per conoscenza a tutte le
autorità sanitarie e politiche, regionali e statali, incluse Prefettura e
Procura della Repubblica.
“Il
reparto di ortopedia – prosegue Addis – dove si è registrato il primo caso di
positività di un paziente trasferito dall’ospedale di Nuoro, è stato sottoposto
a sanificazione ma i medici e gli operatori non sono stati tutti sottoposti
a tampone e continuano a frequentare gli ambienti ospedalieri”.
Tutti
i Sindaci chiedono “con estrema urgenza ogni misura idonea a mettere in
sicurezza del Paolo Dettori e di agire con ogni strumento ordinario e
straordinario messo a disposizione dell’ordinamento statutario speciale della
Regione Sardegna per evitare il diffondersi del contagio prima all’interno
della struttura e poi nella popolazione. Sottoporre ai tamponi rinofaringei
tutto il personale che ha operato nel reparto di Ortopedia dove si è registrato
il primo caso di positività, e del reparto di Medicina dove è tuttora
ricoverato il paziente positivo al virus, di adottare i protocolli di sicurezza
previsti dalla legge e di vigilare sulla loro stretta osservanza. Tutto il
personale dell’Ospedale venga rifornito di dispositivi di protezione
individuale indispensabile per continuare a prestare assistenza e cure in
sicurezza”.
Ad
aggravare ancor più la situazione si aggiunge che nella giornata di sabato
21 sono decedute cinque persone nel territorio comunale: tre in ospedale,
una in Hospice e una in abitazione. Dei tre decessi ospedalieri due casi sono
attribuiti a POLMONITE BILATERALE – INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA IN
PAZIENTE CON POLMONITE. I tre decessi si sono verificati nel reparto di
Medicina.
Inoltre Addis denuncia una “grave, inconcepibile e inammissibile totale assenza di comunicazione informativa istituzionale” e riferisce di una precedente nota del 16 marzo, inviata a seguito della presenza del già citato paziente positivo in Ortopedia. In quella occasione il vicesindaco aveva già segnalato le condizioni di estremo rischio a causa dell’assoluta mancanza di DPI chiedendo un intervento con estrema urgenza. La richiesta, però, è rimasta colpevolmente inascoltata e priva di riscontro.
La situazione nell’ospedale tempiese è a dir poco drammatica, come è molto alto il rischio di un focolaio di ampie proporzioni che vada a paralizzare completamente l’intera struttura e scopra del tutto un vasto territorio con oltre 35.000 abitanti. Non si può perdere un momento di più rispetto a quanto è già irresponsabilmente accaduto.
Le persone stiano a casa, quanto più possibile, stiano molto attente ma le autorità sanitarie devono porre rimedio immediato a quanto sta avvenendo al Paolo Dettori di Tempio. La lettera di Gianni Addis non lascia spazio ad interpretazioni. Non c’era tempo da perdere due settimane fa, è ora superfluo rimarcare l’estrema gravità della situazione a Tempio e in tutta l’Alta Gallura.
Olbia, Covid-19: caos al Giovanni Paolo II. Durissima denuncia di medici, infermieri e OSS
Il personale medico, infermieristico e OSS del reparto di Cardiochirurgia-UTIC-Emodinamica dell’Ospedale Giovanni Paolo II di Olbia ha inviato una durissima lettera al Direttore dell’ASSL Olbia, alla Direzione medica e ai diversi responsabili dei diversi Servizi (prevenzione, sicurezza ambienti di lavoro e sorveglianza dei lavoratori).
Una situazione a dir poco esplosiva con la missiva che denuncia
“carente attenzione rivolta alle condizioni di lavoro e totale assenza di
comunicazione da parte della direzione di presidio e autorità competenti” nonché
un’insufficiente dotazione di presidi. I dispositivi di protezione individuale
(DPI) – secondo quanto riportato – andrebbero ottimizzati con l’uso di semplici
mascherine chirurgiche ma al contempo “il personale della direzione sanitaria
circola per l’ospedale dotato di maschera FFp3 con valvola”.
Si apprende che il personale operante è potenzialmente
infetto ma dopo ancora 72 ore non sono disponibili gli esiti dei tamponi che
possano confermare o escludere la positività al Covid-19.
Nella lettera si denuncia anche il mancato screening del restante
personale “nonostante siano trascorsi diversi giorni dai primi casi
Covid-19 accertati in reparto Rianimazione e la presenza in reparto e sala
emodinamica di due conviventi con soggetti positivi al Covid-19”.
Una situazione gravissima che spinge il personale a “declinare
ogni responsabilità per eventuali danni a terzi derivanti dall’esercizio della
nostra professione, che al momento viene svolta in condizioni inadeguate ma
con la massima serietà e professionalità” – chiosa la lettera.
Covid-19, Sardegna: santi e soldati piegheranno le curve?
La diffusione dell’epidemia Covid-19 nel mondo, dall’11 marzo considerata Pandemia dall’OMS, registra 280.000 contagiati e circa 11.500 decessi. La maggior parte di questi come noto si conta in Cina (ex focolaio di Wuhan-Hubei) con più di 3.000 morti e nel nord-Italia con oltre 4.000 morti, di cui quasi due terzi in Lombardia. Nel complesso, su quasi 207.000 test eseguiti in Italia i positivi sono 47.021 mentre gli attivi 37.800. Dai casi positivi vanno infatti sottratti i decessi e 5.129 guariti. I ricoverati in terapia intensiva sono al momento 2.655.
Solo
ieri si sono contati 627 decessi e la distribuzione del Covid-19 nel
focolaio italiano assume un andamento pericolosamente verticale. Per avere un’idea
indicativa, il numero di morti della sola giornata del 20 marzo è pari a tutti
i decessi registrati dal 24 febbraio al 10 marzo (631).
Mentre
medici ed esperti – o presunti tali – continuano irresponsabilmente a
rilasciare dichiarazioni del tutto fuorvianti sulla pandemia, sull’aggressività
del virus ai polmoni e su raffronti con anni precedenti, è del tutto confermata
la previsione di Giorgio Parisi che due settimane fa parlava
chiaramente del rischio di conteggiare in Italia molti più morti rispetto al
focolaio cinese e, in assenza di misure drastiche, “bruciare” il vantaggio di
37 giorni rispetto all’andamento della curva di Wuhan.
In
questo weekend arriverà in Italia personale medico specializzato da Cuba mentre
in Lombardia è operativo da giovedì un team cinese. Durante la conferenza
stampa di giovedì introdotto dal presidente della Regione Lombardia, Attilio
Fontana, ha parlato Sun Shuopeng, vicepresidente Croce Rossa Cinese.
Il gruppo di esperti cinesi ha rimarcato le misure di contenimento troppo blande,
lo scarso o improprio uso di mascherine e l’ancora eccessivo traffico
riscontrato a Milano.
Non meno pericolosa la
situazione a livello prettamente economico dove si segnala negli ultimi giorni la
querelle sull’ipotesi “click day” per i 600 euro a beneficio dei lavoratori
autonomi. Una sorta di procedura a sportello come per i bandi pubblici che ha
contribuito ad esasperare la situazione in seguito alla pubblicazione del
decreto “Cura Italia”. Una valanga di critiche al presidente dell’INPS, Pasquale
Tridico, e al governo. L’ipotesi è stata ritirata nel giro di un paio di
giorni.
Negli articoli precedenti si era dato conto, tra i tanti, dello sviluppo dell’attività di monitoraggio e previsione da parte di alcuni giovani ricercatori. Al progetto avviato dal tempiese Luigi Giuseppe Atzeni e dal collega Vincenzo Nardelli si sono in breve unite numerose altre competenze e il lavoro viene ampliato e affinato di giorno in giorno. È stato diffuso anche un breve Manifesto intitolato “La conoscenza ci difende dalla paura”. Nel link al progetto sono disponibili numerosi collegamenti a biografia specializzata, database e altre informazioni utili. Questo il link al progetto CoVstathttps://covstat.it/
Nel
frattempo in Sardegna lo scenario appare in netto peggioramento con una
situazione più unica che rara. Da questo sito si era fatto appello a
concentrare da subito l’attenzione sulla sicurezza del personale medico
ed ospedaliero che avrebbe dovuto trattare la diffusione del Covid-19, anche alla
luce delle condizioni di base del sistema sanitario sardo. I contagiati in
Sardegna al 20 marzo sono 293 (su 1.912 test eseguiti), un
incremento di oltre 80 casi nelle ultime 24 ore. Sono 2 al momento i decessi e
15 i casi in terapia intensiva (+6 rispetto al giorno precedente). A questi si
aggiungono altri due decessi di sardi emigrati e inclusi nel dato italiano. Quasi
tre contagi su quattro sono quindi registrati in provincia di Sassari e,
complessivamente, circa il 50% dei contagiati è riconducibile a personale
medico e sanitario. Un dato clamoroso che non ha pari nelle Regioni
italiane, in Cina e, per quanto informazioni e dati siano parziali, non risultano
situazioni raffrontabili in tutta Europa.
La
solidarietà della popolazione sarda non è stata mai in discussione e
sono numerose le iniziative che nascono ogni giorno. Da imprenditori e
lavoratori che producono o donano decine di migliaia di mascherine a raccolte
fondi e donazioni di varia natura che coinvolgono trasversalmente tutta l’Isola.
Non c’erano dubbi su questo ma è intuibile non sia sufficiente né tantomeno sostenibile.
L’assessore
alla Sanità della Regione Autonoma della Sardegna, Mario Nieddu, ha
sminuito pericolosamente la diffusione del contagio negli ospedali con un “ci
può stare” che ha raggelato il personale impegnato in prima linea e
generato forti polemiche e inquietudine nella popolazione che nei nosocomi
potrebbe dover andare per Covid-19 o per cure ad altre patologie non posticipabili.
Il governatore Christian Solinas, dopo i maldestri appelli al sentimento religioso popolare, ha chiesto ufficialmente allo Stato italiano l’intervento della Brigata Sassari per la gestione dell’emergenza Covid-19 in Sardegna. Non è dato sapere come questo ipotetico impiego di militari si dovrebbe inserire nella strategia della Ras e nel relativo Piano straordinario Codiv-19 approvato dalla Giunta meno di due settimane fa. Non è chiaro in cosa dovrebbero essere impiegati i militari e quale utilità concreta abbiano, se non – come denunciato da A Foras in un comunicato – “deviare l’attenzione da quelli che sono i reali e gravi problemi che sta incontrando il sistema sanitario sardo”.
Al di là delle retoriche militari e credenze personali di ognuno, è del tutto evidente che santi e soldati non incideranno sulla pericolosa pendenza che l’andamento del Covid-19 sta assumendo e non riusciranno a ridurre il tasso di contagio nei nosocomi isolani o doteranno di adeguate protezioni tutto il personale medico ed ospedaliero impegnato in una dura battaglia scientifica, civile ed organizzativa e non certo militare.
COVID-19. Alcuni monitoraggi e situazione in Sardegna
Gli aggiornamenti sul COVID-19 indicano, come prevedibile, che il picco del focolaio nord-italiano sia ancora piuttosto lontano. Come detto più volte, le misure di contenimento iniziano ad evidenziare i benefici di riduzione di contagi dopo un certo lasso di tempo.
A livello mondiale i casi al
momento sono oltre 143.000 con 5.394 morti. Al contempo, anche in
numerosi Paesi europei, le curve si fanno sempre più ripide. Su tutti la Spagna
che ormai procede al ritmo di oltre 1.000 casi in più al giorno (1.188 oggi con
36 decessi). In Italia oggi si registra un nuovo, forte, incremento con 2.547
casi (oltre 1.000 in Lombardia) e ben 250 decessi. I morti totali in Italia
sono ora 1.266.
In Cina, al contrario, dopo
oltre due mesi la diffusione del COVID-19 si è praticamente esaurita e
oggi si registrano solo 22 nuovi casi e 8 decessi. https://www.worldometers.info/coronavirus/
In Sardegna i casi positivi
salgono a 44 (+5 oggi). Nessuno è grave (terapia intensiva) ma nessuno –
ancora – è stato dichiarato guarito. Buone notizie dal San Francesco di Nuoro con
tamponi negativi dopo i casi dei giorni scorsi i quali avevano portato la
chiusura del nosocomio e messo subito in crisi la struttura. La maggior parte dei
soggetti contagiati sono difatti operatori sanitari.
Da segnalare che da più parti si continuano
a denunciare massici arrivi via porti, in particolare Olbia, dal momento che l’unico
aeroporto attivo in Sardegna a regime fortemente ridotto è quello di Elmas. La
situazione rischia di farsi incandescente anche perché sbarcano auto, caravan, camper
e pulmini carichi di viveri ed è del tutto evidente non si tratti di studenti e
lavoratori di rientro. Molti sardi e sarde stanno finendo anzitempo o hanno terminato
stagioni lavorative invernali ma la percentuale è comunque minimale, anche
perché la Sardegna – con poca popolazione e il tasso di abbandono scolastico
più alto d’Italia – non conta un enorme numero di studenti universitari “disterrados”
e molti emigrati sono rimasti dove vivono, in Italia come in tutta Europa. All’interno
dei “vacanzieri” si registrano casi di nazionalità non italiane, in proporzione
minimi e probabilmente alimentati anche dal fatto che fino ad una settimana fa nei
loro paesi si parlava a malapena del COVID-19 (vedi posizioni governative).
Il dato è chiaro e cosa sta
accadendo è sotto gli occhi di tutti, nonostante gli sparuti tentativi di minimizzare,
insinuare la classica “colpa sarda” o, persino, parlare di “accoglienza e ospitalità”.
La situazione rischia di farsi ancora più seria di quanto già non lo sia per
COVID-19 e il problema non è solo epidemiologico e sanitario, ma politico.
Un vero corto circuito. Parti politiche da sempre piuttosto scioviniste con “prima
gli italiani” e “aiutiamoli a casa loro” si trovano a richiedere lo stop all’arrivo
di nord-italiani (seppur non nominati esplicitamente) e anche altri esponenti
politici unionisti chiedono con forza il blocco temporaneo degli arrivi.
Il fisiologico e maggiore rischio
contagio e il carico sul sistema sanitario sardo ha i primi esempi pratici.
A Carloforte un “turista” milanese è stato scoperto e denunciato solo a
seguito di una brutta caduta col motorino (senza assicurazione e revisione), fatto
che ha impegnato persino l’elisoccorso per il trasporto al Brotzu.
Fortunatamente per i soccorritori e il personale medico entrati in contatto con
lo stesso, è risultato negativo al tampone.
In numerosi Comuni (non solo
costieri) vengono visti in giro come veri e propri turisti che se interpellati tentano
di confondersi con l’accento e la lingua del luogo utilizzando “frasi pronte”.
Comportamenti dolosi e irresponsabili che inaspriscono una situazione già
critica dove tanti Comuni sono sotto stress alle prese con l’organizzazione di assistenza
psicologica, consegna pasti per anziani, disabili e non autosufficienti e
tutti i servizi emergenziali che vengono predisposti in situazioni simili.
A riprova di cosa sia accaduto nei
giorni scorsi, crescono ancora gli autodenunciati per isolamento fiduciario: 13.300.
Tornando ai dati, di seguito si riportano alcuni link a progetti di monitoraggio o previsione che negli ultimi giorni stanno osservando e cercando di modellizzare la diffusione del COVID-19 e prevederne gli andamenti futuri.
In https://urly.it/34tb8Luigi Giuseppe Atzeni, Vincenzo Nardelli e Andrea Palladino cercano di
stimare l’andamento in Italia nel complesso utilizzando il modello SIR e altri
contributi di fonte cinese ottenuti dall’osservazione sullo sviluppo del
focolaio di Wuhan. Gli stessi fanno appello ad altre competenze che vogliano
unirsi al progetto, con l’obiettivo di affinare il modello e possibilmente in
tempi rapidi “regionalizzare” gli scenari. Al momento R0 stimato è 1,32
e il picco è previsto al momento per il 9 aprile. È di fondamentale
importanza che analisti o analiste sarde possano dare un contributo avendo
magari più confidenza, se non data-set pronti, con le peculiarità dell’Isola e
particolari variabili che possano inserirsi al meglio nella ricerca, rendendo
le stime per l’Isola più affidabile.
Un altro
progetto al momento si occupa di analizzare la situazione epidemica italiana
partendo dalla situazione lombarda e analizzando i trend in altre quattro
regioni. Gli autori sono Enrico Bucci, Giuseppe De Nicolao, Enzo Marinari e Giorgio Parisi
(quest’ultimo Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei). Il documento
in Pdf può essere scaricato al seguente link https://urly.it/34tb-
Qui https://urly.it/34tb0
è possibile osservare e seguire un complesso ed esaustivo monitoraggio a cura
di Franco Mossotto.
Ieri notte il presidente del Consiglio dei Ministri italiano, Giuseppe Conte, ha inasprito le misure di contenimento per il COVID-19 con la firma del Dpcm n° 11.
In Dpcm in questione, come sottolineato anche dal presidente
ANCI Sardegna, Emiliano Deiana, non è completamente chiaro e, come i
precedenti, sta creando molta confusione per numerose categorie, al di là dei
richiami alla doverosa e indispensabile responsabilità individuale. Deiana ha
richiamato anche la massima urgenza di studiare e varare misure ad hoc
tra ANCI-RAS per il sostegno al sistema produttivo sardo, interventi che si
dovranno aggiungere a imprescindibili e massici provvedimenti statali.
Riguardo la diffusione del COVID-19 nel Mondo, da
rilevare la dichiarazione ufficiale di Pandemia da parte dell’OMS e il
rapido cambio di indirizzo negli Stati Uniti con i blocchi dei voli dall’Europa
decisi da Trump che fino a poche ore prima minimizzava la questione COVID-19.
Nonostante questo la maxi esercitazione “Defender Europe” non sembra subire
variazione. Si farà comunque per gioia e vanto della NATO https://shape.nato.int/defender-europe ma l’Italia non vi parteciperà.
Diversa sorte per un’altra esercitazione militare NATO, “Cold Response 2020”:
annullata.
A proposito di movimenti e spese militari, sul web il movimento A Foras ha lanciato #piùospedalimenomilitari motto che richiama le lotte in Sardegna contro l’occupazione militare e l’enorme contraddizione tra spendere per costruire guerra e non pace. Costruire pace significa anche destinare alla Sanità pubblica e non al comparto bellico, risorse che potrebbero garantire l’acquisto e il finanziamento di strumenti e professionalità sane.
Il dato di oggi per l’Italia indica un nuovo forte incremento
di contagi e decessi, rispettivamente +2.651 e +189 (di
cui 127 solo in Lombardia)https://www.worldometers.info/coronavirus/
Il rapporto tra morti e guariti si avvicina all’unità, con i
primi che rispetto a due-tre settimane fa (rapporto 3:1) si apprestano a
superare a breve i secondi per la prima volta dall’inizio dell’epidemia, ora Pandemia.
Con le dovute imprecisioni e difficoltà proseguono da più
parti (nei prossimi giorni si darà conto di diversi gruppi di analisti che
lavorano ai dati) gli aggiornamenti delle stime su picchi ed espansione dei
focolai, mentre in numerosi Stati europei le cifre crescono di giorno in giorno.
Diversi governi iniziano a prendere coscienza della situazione.
Le domande (e gli obiettivi) sono sempre le stesse: quanto
potrebbe durare? Come “flattare” il picco per non far collassare i sistemi
sanitari? Come prevenire l’esplosione di nuovi focolai?
Riguardo le stime, l’immagine riportata mostra l’andamento
della curva del contagio registrata in Cina utilizzata per cercare di simulare
lo scenario per Korea del Sud e Italia. La parte a sinistra
riporta i nuovi casi su base giornaliera, quella a destra corrisponde all’andamento
cumulativo.
I grafici comprendono quindi una parte storica (cosa già
effettivamente registrato a Wuhan dove il focolaio può considerarsi spento) e
una previsionale sull’andamento e l’entità che il contagio potrebbe seguire
nei focolai (outbreaks) in oggetto, Korea e nord-Italia – in particolare
Lombardia (3 morti italiani su 4 per COVID-19 sono in questa regione).
Le previsioni sull’andamento in Italia seguono due scenari, uno ottimistico e
uno, al contrario, pessimistico. A partire dalla scelta del “blocco totale”
(total lockdown) la stima su un andamento positivo o negativo è legata all’ipotesi
che la misura adottata in Italia sia efficace quanto quella a suo tempo
adottata per contenere il focolaio di Wuhan, ovvero il blocco del traffico imposto
già nella seconda parte di gennaio.
Ciò che si osserva, come noto in tutte le epidemie, è che i
provvedimenti restrittivi – oltre dipendere dalla qualità dell’applicazione
pratica e altri fattori – in termini di contenimento del contagio non danno
effetti immediati ma dopo un certo lasso di tempo, tendenzialmente il periodo
di incubazione. Dunque, nonostante le misure prese negli ultimi tre giorni in
Italia è prevedibile il proseguo di una pendenza molto ripida della
curva nei prossimi giorni con gli effetti positivi che si dovrebbero iniziare a
vedere solo a fine marzo/primi di aprile. Nello scenario positivo, la simulazione
effettuata indica un picco italiano con oltre 3.000 nuovi casi/giorno e
un cumulativo di circa 50.000 contagi totali. Nello scenario negativo –
ovvero nell’ipotesi di un’inefficacia totale del blocco per il contenimento del
focolaio (meno plausibile) i nuovi casi giornalieri sarebbero 6.000 e il
cumulativo superare i 100.000 casi complessivi. L’obiettivo del
contenimento, come detto più volte, è quello di alleggerire la pressione sulle
strutture ospedaliere direttamente coinvolte nell’area in questione ma anche
evitare che si sviluppino focolai come quello nord italiano in altre aree,
anche molto distanti e altrettanto, se non più, densamente popolate come molti
centri meridionali.
Nei giorni scorsi insistentemente si è chiesto se la
diffusione stesse rallentando e si andasse in breve verso un picco della
gaussiana del COVID-19. Molti esperti hanno preferito non confermare in tal
senso indicando come fosse più probabile trovarsi ancora in una fase fortemente
ascendente. Quello che dicono le stime e previsioni elaborate a Taiwan
è che il dato del focolaio nord-italiano sia, ancora, in una fase iniziale
e che, probabilmente, questa settimana e le prossime due saranno le più dure
come pressione sul sistema sanitario. Il nuovo Dpcm va nella direzione di
alleggerire la situazione nelle aree più colpite ma anche evitare o limitare
quanto possibile l’eventuale propagazione di focolai in altre zone dello Stato.
In Cina, ad esempio, sono dovuti trascorrere ben due mesi dai casi dei
primi giorni di gennaio per giungere ai recenti allentamenti sui blocchi a
Wuhan. L’area cinese è in termini di abitanti una zona abbastanza paragonabile
a quella più calda del focolaio italiano, la Lombardia. Praticamente gli
stessi abitanti, ma con diverse densità (Wuhan conta oltre 700 ab/Kmq, la
Lombardia circa 420) seppur entrambi siano valori molto elevati.
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SARDEGNA. Al 12 marzo la Sardegna registra due nuovi casi, per un totale di 39 totali. Il contesto sardo ha per forza di cose e di geografia le sue peculiarità. La Sardegna conta la stessa superficie della Sicilia ma con poco più di 1,6 milioni di abitanti. Oltre l’insularità, la bassa densità che caratterizza la stragrande maggioranza della superficie e una percentuale rilevante della popolazione (30,8%, oltre mezzo milione di abitanti) suddivisa in piccoli centri (314 Comuni su 377 < 5.000 abitanti) sono elementi che costituiscono enormi punti di forza. Si tratta, di fatto, di un distanziamento sociale implicito che permetterebbe di concentrare l’attenzione e gli sforzi sulla gestione dei maggiori centri urbani. Un enorme punto di forza da preservare e non disperdere, cosa che non è stata del tutto colta. Anzi.
Oltretutto è necessario vedere demograficamente la situazione anche da un’altra prospettiva. Il “vantaggio” temporale e demografico non deve rassicurare e l’attenzione deve rimanere massima. Perché? Non saranno Wuhan o Milano, ma alcune città sarde, proporzionalmente agli abitanti totali e alla capacità di carico del sistema sanitario, potrebbero costituire focolai devastanti. “Cagliari città” conta oltre 150.000 abitanti con una densità di 1.812 ab/kmq, Quartu (città metropolitana di Cagliari) ne conta 730, mentre la Città metropolitana nel suo complesso comprende 17 Comuni, 430.000 abitanti, per una densità di 345 ab/kmq. Sassari si ferma a 231, dato comunque non da poco considerando che è calcolato su un’estensione che, da sola, è pari a quasi la metà di tutta l’area metropolitana di Cagliari. Cosa significa questo? Che i pochi casi attuali in Sardegna, l’orografia e un distanziamento implicito possono passare da punti di forza a enorme sottovalutazione del rischio.
Precisato questo, il fattore insulare-nazionale avrebbe
potuto essere sfruttato al meglio con un celere blocco in entrata oppure, sempre
con tempo, la predisposizione di seri controlli in porti e aeroporti e
l’apertura di una sorta di corridoio umanitario per il rientro controllato e
gestito dei vari cittadini sardi presenti non solo in nord Italia e non solo
nelle zone più interessate. Sono infatti decine di migliaia i Sardi presenti in
Paesi europei i quali si trovano alle prese con Governi che sottovalutano il
COVID-19 (principalmente perché non hanno ancora focolai) consentendo fino a
pochi giorni fa, o anche poche ore, enormi eventi di massa e altro. Per avere
un’idea delle tempistiche a livello mondiale nella gestione COVID-19 una previsione
di contenimento è stata adottata in modo rigido dalla Russia da e verso la Cina
nelle cinque province confinanti tra i due paesi già il 31 gennaio
(sospensione visti, corridoio umanitario e quarantena obbligatoria).
Come noto, in Sardegna questo potenziale vantaggio è stato
(in parte) disperso con l’arrivo incontrollato di migliaia di “vacanzieri”
dalle zone rosse che hanno preso d’assalto le seconde case presenti nell’Isola,
un afflusso paragonabile al periodo estivo che ha suscitato sdegno a livello
popolare e anche forti rimostranze degli Amministratori locali. Interessate
prevalentemente le seconde case ma non solo, come l’albergo di Tortolì che ha
persino pubblicizzato un’offerta per fuga da COVID-19. Il titolare è
stato denunciato.
Gli autodenunciati con la procedura prevista al momento sono circa
11.000 ma si può verosimilmente presumere
che una parte di essi possa rimanere sommersa fatto che mette ancor più a
rischio un fragile sistema sanitario.
Negli
ultimi due giorni, oltre l’inasprimento delle misure di contenimento a livello
statale, da segnalare la decisione del presidente della Regione Toscana
di firmare l’ordinanza n° 10.
Questa prevede che chi è arrivato in Toscana negli ultimi 14 giorni dalle
zone a rischio per ragioni non di lavoro, salute o necessità, debba far rientro
immediato nel proprio domicilio, abitazione o residenza. Questo perché essi non possono avere sul
territorio toscano il proprio medico o pediatra di famiglia, elemento cruciale
nell’assistenza sanitaria garantita dal Servizio sanitario e, ancor più, in
questo momento. Diversi dunque gli aspetti sui quali puntare per gestire al
meglio la situazione nelle prossime settimane e prevenire l’insorgere di un
focolaio in Sardegna.
controlli a
tappeto su seconde case e località più interessate dal fenomeno turistico al
fine di verificare concretamente eventuali non autodenunciati. Sono
molti di più di 11.000 considerando che gli arrivi, anche con minore intensità,
erano in corso da diversi giorni prima del clamore dei servizi giornalistici in
porti e aeroporti isolani. Gli arrivi in nave erano su livelli estivi con migliaia
di persone per sbarco. A questo si aggiunge anche che in una prima fase dei “controlli”
questi sono stati applicati solo a Cagliari. Al momento numerosi di questi
arrivi stanno ancora oggi letteralmente vagabondando come fossero in ferie in
un atollo sterile e immacolato. È un comportamento irresponsabile e
profondamente egoista.
allestimento di
nuovi posti letto negli ospedali nei quali nel corso degli ultimi anni questi
sono stati tagliati. Le strutture ospedaliere e i reparti sono già presenti e,
di fatto, nell’emergenza potrebbero essere riattivati centinaia di posti letto
in tempi rapidi;
ampia copertura
di dispositivi di sicurezza individuali per personale medico;
i posti letto
riattivati interesserebbero i piccoli ospedali e con loro i piccoli centri nei
quali ruotano molti piccoli o micro Comuni. L’importanza di dotare questi
piccoli ospedali è una funzione di decompressione nei confronti degli ospedali
principali nei quali sono previste come anticipato tre Unità COVID-19 con
terapie intensive (+60 unità);
la funzione di
decompressione riguarda lo specifico l’emergenza COVID-19 e tutta la gestione sanitaria
ad essa correlata nel senso che tutte le altre funzioni sanitarie ordinarie
devono proseguire necessariamente nel miglior modo possibile;
le sale
operatorie, o in molti casi le ex sale operatorie alla luce dei tagli alla
Sanità sarda, possono essere più facilmente adibite a posti aggiuntivi di
terapia intensiva o, laddove non si necessiti di posti di terapia intensiva,
utilizzati per interventi chirurgici necessari nell’ordinario svolgimento di
interventi che caratterizzano normalmente il sistema;
utilizzo
strutture private presenti nell’Isola. È noto da diverse fonti che in Lombardia
e non solo il sistema privato sia stato e sia piuttosto restio a mettere a
disposizione posti letto, nonostante la drammaticità della situazione. In
Sardegna, l’opposizione popolare e le critiche da più parti giunte negli anni
all’integrazione sanitaria privata a scapito di quella pubblica potrebbero
giocare un ruolo chiave di “lobbysmo all’inverso” e spingere a mettere a
disposizione strutture private per l’emergenza COVID-19. Il Mater Olbia, ad
esempio, non ha un Pronto Soccorso, ma l’Unità di rianimazione, e tanta voglia
di darsi una pubblicità positiva in Italia e in Sardegna.
data la
difficoltà a fare concepire a molti il rischio di uscire di casa e contrarre il
COVID-19 potrebbe essere utile il passaggio nei Comuni isolani con megafono o
altri mezzi al fine di invitare la popolazione ad attenersi alle indicazioni
sanitarie, ripetendo e specificando le misure anti-contagio. Potrebbe avere un
effetto deterrente e di “convincimento” soprattutto sui più anziani (ma non
solo), i più esposti e spesso più testardi. Non è una cosa “simpatica” ma
potrebbe essere utile, con dovuto tono e linguaggio. Come testimoniato da molti
video su You Tube, in Lombardia è una pratica che si sta attuando con buoni
effetti. Anche lì, difatti, nonostante il dramma conclamato in molti ospedali,
in tante città e piccoli Comuni la popolazione è stata piuttosto restia fino
all’ultimo ad osservare misure di contenimento. Va detto che al momento la
popolazione sarda sembrerebbe aver risposto alla situazione emergenziale in
modo relativamente composto e ordinato.
NOTA. Molto di quanto sopra riportato è stato appuntato
nella notte tra l’11 e il 12 marzo. Il Piano straordinario approvato
nella tarda serata di ieri dalla Giunta regionale e divulgato nella mattinata
di oggi prevede più fasi a seconda dell’evoluzione dell’emergenza. La Ras con
l’approvazione della Finanziaria destina 60 milioni di euro
all’emergenza COVID-19. Una somma considerevole se si pensa alle condizioni
sistema economico isolano e, per fare un raffronto, a quanto stanziato pochi
giorni fa dalla Commissione europea per finanziare lo studio sul vaccino
al COVID-19: 47,5 milioni di euro.
COVID-19, c’è poco tempo: luoghi comuni, pericoli reali e scenario in Sardegna
PREMESSA. Le pagine che seguono sono scritte in base a diverse fonti informative che operano internamente a diversi ospedali presenti del nord Italia (e non solo) che stanno lavorando alacremente nell’emergenza COVID-19. Alcune informazioni ricevute e particolari non verranno divulgati per non rendere riconoscibili il contesto di provenienza e le diverse fonti specifiche. Chi opera in questo momento in quelle zone sa bene che deve pensare a lavorare e salvare più vite possibili, ma chi informa ha il dovere di rendere nota una situazione che, sostanzialmente, secondo il personale operante è molto più grave di quanto finora sia stato divulgato alla popolazione italiana e, si vedrà separatamente, a quella sarda. Consapevole della responsabilità assunta il sottoscritto spera veramente che le cose non vadano per il peggio. Ma le cose non andranno per il peggio se ci saranno determinate scelte individuali e collettive, non certo per magia.
Si procederà per punti, alcuni aspetti sono già stati resi
noti nel mare di informazioni a vario titolo divulgate, altri aspetti sono
ormai noti nelle ultime 12 ore e su altri si farà ordine e precisazioni.
A tutto il personale medico e sanitario impegnato va un caloroso ringraziamento.
Il COVID-19 è subdolo, molto subdolo. Questo virus si confonde facilmente in una prima fase con la normale influenza stagionale. Questo ha portato molte persone nelle settimane precedenti ad andare al Pronto Soccorso. I medici stessi non hanno riconosciuto in molti casi il virus e l’attesa in corsia, o un successivo ritorno al PS una volta peggiorate le condizioni, ha infettato centinaia di persone.
Il personale medico sta lavorando come prevedibile con turni
massacranti e, soprattutto, con scarsa quando non assente dotazione di
dispositivi di protezione. Infatti essi stessi si ammalano. Mancano le note
mascherine e mancano quelle più adatte a contenere la diffusione del virus,
ovvero quelle di categorie FFP2-FFP3. È urgente dotare massicciamente di
dispositivi adatti il personale impegnato e la popolazione civile.
Le terapie intensive sono al collasso, soprattutto in
Lombardia che comunque dispone di un sistema sanitario robusto. L’aiuto che
possono ricevere da regioni limitrofe è limitato (vista anche la situazione
critica anche in queste) perché il trasporto di un soggetto in terapia
intensiva da un ospedale all’altro non è operazione semplice: il rischio di
decesso è alto. Per la Sardegna, come si vedrà, questa eventualità è
logisticamente impossibile. Non si può ricevere aiuto da alcun sistema
limitrofo.
In alcuni ospedali italiani si è già arrivati, dopo poco più
di due settimane di epidemia, a dover scegliere. Scegliere tra chi
intubare e assistere e chi no. Si sta già scegliendo a monte tra chi può avere
una data possibilità di vita e chi precludergliela a prescindere per mancanza
di risorse. Questo è un dato di fatto ed è dato dai numeri. Circa il 10-12%
dei contagiati finisce in terapia intensiva. Se i contagiati aumentano
nell’ordine di 1.000-1.500 al giorno (impennate simili si stanno verificando
anche in Spagna, ad esempio) significa che ogni giorno vengono occupati anche
più di 100 posti di terapia intensiva. Se non si liberano posti da
malati precedenti, i nuovi non verranno assistiti adeguatamente. In alcune
strutture ospedaliere dai prossimi giorni non verranno più intubati soggetti
oltre i 60 anni. In Italia sono presenti circa 3.000 ventilatori.
Vaccino. L’unica reale soluzione ad un virus è la messa a punto e successiva
somministrazione di un vaccino. Non è possibile somministrare antibiotici,
essendo un virus. Si stanno facendo tentativi con cocktail di farmaci ma sono,
per l’appunto, tentativi. La scienza procede per errori e non per decreti o
scadenze. Il vaccino tecnicamente non arriverà prima di 10-12 mesi, con
buona pace delle poche settimane annunciate e attribuite ai più disparati Stati
nel mondo. Purtroppo, mettere a punto un vaccino non è una procedura così
rapida come tutti vorremmo fosse. Il distanziamento sociale e il contenimento
servono a non far non collassare un sistema sanitario e prendere tempo
in vista della messa a punto del relativo vaccino il quale poi andrà distribuito,
fase che richiede ulteriore tempo. Questo significa ulteriori contagi e morti.
Il distanziamento previene i contagi e riduce i morti.
Il distanziamento sociale come misura di contenimento
ha un preciso effetto. I casi si distribuiscono in un periodo più lungo
rispetto al mancato intervento delle misure. Le misure di contenimento, però,
riducono drasticamente l’entità del picco e con questo il numero di
persone che muoiono semplicemente perché non possono ricevere cure a causa del
congestionamento del sistema sanitario. Dunque, più in breve, una vita e una
società condizionata per un lasso di tempo più lungo ma meno vite perse.
“Alcuni potrebbero aver preso il COVID-19 e averlo superato
senza rendersene conto convinti fosse un’influenza”. È vero, ma sono
necessarie precisazioni. Innanzitutto, il soggetto potrebbe comunque aver
infettato altri mentre lo superava e questi altri potrebbero essere persone che
non supereranno l’infezione e moriranno. In ogni caso appesantiranno il sistema
sanitario. Altro aspetto: chi lo ha superato in modo silente non
necessariamente matura velocemente tutti gli anticorpi che evitano di
riprenderlo. Un già ammalato potrebbe riprendere il COVID-19.
Oltretutto, per molti che passano il COVID-19 senza accorgersene, ci sono
molti, anche giovani, che subiscono quella che tecnicamente è una polmonite
interstiziale bilaterale, molto aggressiva, che ha bisogno di ventilazione
continua e in casi gravi terapia intensiva. In molti ospedali non sono presenti
ventilatori per tutti quelli che ne necessitano.
“Il virus uccide solo anziani” – “L’età media del decesso è
alta”. Senza entrare in ragioni morali (anche la vita di un 70-80enne va quanto
possibile preservata) questo è vero solo in una prima fase. Già ora,
dopo un paio di settimane o poco più, con l’aumento del numero dei contagi si
stanno registrando numerosi casi di infezioni polmonari acute su soggetti
giovani (anche under 40) che finiscono nei reparti di terapia intensiva. Alcuni
muoiono, ne moriranno ancor più se il distanziamento sociale non sarà ferreo. I
dati riguardo le fasce d’età delle terapie intensive da COVID-19 in
Lombardia sono le seguenti:
– 22%, 75+ anni
– 37%, 65-74 anni
– 33%, 50-64 anni
– 8%, 25-49 anni
Quindi quasi un posto di terapia intensiva su due viene
dedicato a soggetti dai 64 anni in giù. Questo dimostra la forte pericolosità
del CODIV-19 anche su fasce giovani.
La letalità del COVID-19 al momento è intorno al 3% (dato
OMS). Nei giorni scorsi il rapporto in Italia tra guariti (recovered) e morti
(death) era quasi 3 a 1. Per ogni decesso quasi 3 soggetti guarivano. Ora
questo rapporto si sta assottigliando velocemente ed è al momento 1,56 a 1
(724 guariti e 463 decessi). Solo ieri era a 1,7 a 1.
“Sono gli stessi morti di un’influenza stagionale”.
Non è vero. O meglio, lo sono al momento, in questo momento preciso, ma
l’influenza stagionale non porta in terapia intensiva tutte queste persone.
Pensare che ciò che è stato proietti esattamente cosa sarà è una leggerezza
enorme. Non è assolutamente detto che sarà così fra un mese come fra due
settimane o ancora prima.
Il COVID-19 ha totalizzato in Italia al momento 9.172
contagi e 463 morti. Questo non significa assolutamente che, ad esempio,
nelle prossime 2-3 settimane si registreranno sempre circa 9.000 contagi e meno
di 500 morti. La proiezione non è per forza lineare ma potrebbe essere esponenziale.
Il virus possiamo dire che corra e, più passa il tempo, più correrà velocemente
e i danni saranno sempre maggiori anche perché non c’è il noto “effetto
gregge” dato dalla vaccinazione che nelle influenze stagionali esiste ed è
raccomandata per determinate categorie.
Rispetto ai giorni scorsi, dove si registravano nuovi contagi
al giorno nell’ordine delle centinaia, i contagi ora viaggiano con valori di
gran lunga superiori a 1.000 nuovi casi al giorno. L’8 marzo mentre iniziava
la scrittura di questo pezzo l’aggiornamento diceva che in Italia si avevano 1.492
nuovi casi e 133 nuovi morti. Al 9 marzo si registrano 1.797
nuovi casi e 97 nuovi decessi (il dato della Protezione Civile è inferiore e si
attesta a 1.598 nuovi casi)https://www.worldometers.info/coronavirus/
Per avere un’idea della gravità della situazione, la metà dei
decessi totali si sono verificati solo nelle ultime 24-48 ore circa. Che questo
sia un picco e ora si andrà a scendere è tutto da vedere e non c’è alcuna
indicazione in tal senso. Potrebbe essere anche la fase iniziale di
un’impennata ancora più forte.
In Italia si registrano all’8 marzo 122 casi ogni milione
di abitanti. Solo la Korea del Sud fa peggio con 144. Al 9 marzo il
rapporto per l’Italia è salito a 151 casi ogni milione abitanti,
mentre la Korea incrementa a 145,9.
La Cina grazie al contenimento straordinario avviato
da tempo (quarantena rigida su oltre 11 milioni di persone) nelle ultime ore ha
avuto solo 40 nuovi casi e 22 nuovi morti. In Italia la misura, tardiva,
della quarantena su circa 16 milioni di persone (da valutare contenuti
specifici e applicazione concreta) è stata prevista al 16° giorno
dall’inizio dell’epidemia. Il numero di infettati nel frattempo crescerà per
fughe e perché ancora molti infetti sono a spasso asintomatici.
Questo è dato da un abbassamento di attenzione clamoroso dopo
un primo, positivo, schock. Il contenimento era dato proprio dalle prime misure
in atto e l’opinione pubblica turbata. Invertendo il nesso causale, qualcuno
ha pensato bene che il COVID-19 stesse rallentando da solo, come per magia.
Ma il rallentamento era dato semplicemente dal contenimento e da una prima,
forte, paura. In una seconda fase, nel momento in cui il contenimento si
allenta, in mancanza di un vaccino, l’attenzione scende e il contagio corre
inevitabilmente. Esempi ne sono “l’acquavite che ci salverà” nel bar in Veneto,
i vari casi di fuggitivi dalle zone rosse verso altri luoghi o i Navigli a
Milano ancora in questi ultimi giorni colmi di gente intenta a fare aperitivi e
ballare incoscientemente.
Il panico gioca brutti scherzi, ma una razionale paura tiene
vivi e previene.La
fobia è un problema, ma l’incoscienza e la superficialità aumentano la
diffusione. Il contagio non si arresta magicamente perché “si pensa positivo” o
“ci credo forte forte” o “non facciamoci condizionare”. Il nostro pensiero
non è più forte di un virus. Quella è magia e religione, con tutto il rispetto
per le idee personali di ognuno. Ad azioni precise corrispondono conseguenze
precise: se non si dispone di un vaccino e le persone non si distanziano, il virus
corre e lo farà sempre più velocemente. È semplice ed è mortale, soprattutto
per alcuni ma se il sistema sanitario collasserà questo avrà conseguenze su
tanti, anche giovani e in buona salute.
Anche alcuni medici e persino virologi hanno dovuto fare il
percorso inverso. Da incalliti anti-allarmisti preoccupati per esagerazioni di
“poco più che un’influenza”, in 10-12 giorni sono passati ad ammettere che non
se ne sa molto, che il COVID-19 è molto contagioso e che è il caso di seguire strettamente
alcuni comportamenti. L’influenza stagionale non è neanche lontanamente
paragonabile alle polmoniti gravi che stanno riempendo interi reparti e che
continueranno a riempierli sempre più se non si contiene la diffusione del
virus.
Un altro aspetto riguarda la capacità di mutazione del
COVID-19. Ogni virus muta e lo fa con velocità diverse. Sicuramente il CODIV-19
rispetto alla SARS muta con un tasso nell’ordine delle decine di volte
superiore. Questo, però, non significa granché. Il virus può mutare “in male”,
più aggressivo e letale, o “in bene” essere meno aggressivo e virulento. Non ci
sono chiare evidenze in tal senso.
SARDEGNA. L’insularità è un elemento che in una prima fase gioca a favore del
contenimento. Il perché è intuitivo. Se il virus non è presente, e nessuno lo
porta dall’esterno in alcun modo, esso non può logicamente diffondersi. Nel
momento che, per un qualsiasi motivo, il virus infetta il contesto isolano e si
diffonde l’essere Isola gioca un ruolo opposto.
Le persone scappate indebitamente nell’Isola da zone rosse,
in larga parte residenti italiani ma anche sardi studenti-lavoratori, sono un numero
indefinito. Non abbiamo al momento dati certi ma sarebbero ricavabili da
traffico aeroportuale che le istituzioni sarde e l’opinione pubblica hanno il
dovere di reperire e sistematizzare il prima possibile. Se si hanno i
nominativi di chi è entrato, si può sapere (in parte) quali proprietà gli
stessi abbiano nell’Isola e dove, presumibilmente, si trovino. È impossibile
ricostruire tutto in tempi rapidi, lo si può fare solo in parte. In termini di contagio
bisogna sapere che quanto accaduto avrà effetti non del tutto rimediabili. È
possibile solo attenuare ma bisogna farlo subito.
Pensare che queste persone arrivate negli ultimi giorni
(prima del Decreto) dicano tutto ciò che c’è da dire in autonomia è
un’ingenuità. È certo che queste persone stanno già aumentando la velocità di
diffusione del virus. Senza un vaccino, mettere persone infette vicino a
persone sane fa ammalare le seconde. Mettere più persone infette vicino a
persone sane fa ammalare più velocemente l’intera collettività. È inevitabile.
La condizione del sistema sanitario sardo poi potrebbe fare il resto causando
molti più morti di quanto le stesse istituzioni sanitarie potessero pensare per
la Lombardia alcune settimane fa. Anche il periodo di incubazione di 2-11 o max
14 giorni potrebbe col tempo subire rialzi perché da quanto riportato dalle
fonti in queste settimane ci sono stati casi di incubazione anche maggiore.
Anche su questo fronte non si hanno letture scientifiche definitive.
Che fare nell’Isola? Questo articolo non fornisce alcun indirizzo medico su come
trattare infezioni polmonari ma “suggerisce” alcune soluzioni logistiche da
predisporre IMMEDIATAMENTE:
adoperarsi
per rintracciare retroattivamente tutti coloro che a vario titolo e con vari
mezzi siano entrati in Sardegna nelle ultime settimane, isolarli-isolarsi e
contattarli almeno due volte al giorno, dove possibile anche via
chiamata video-web;
adoperarsi
per tracciare tutti coloro che entrino in Sardegna da questo momento in poi
(allo stato attuale delle previsioni di legge). A quanto si apprende in
queste ore proseguono arrivi in massa e i controlli sono assenti. Il
rischio di un ampio contagio in questo modo è una certezza, non un rischio;
considerare
l’applicazione di una chiusura totale degli accessi all’Isola (richiesta
anche dall’ANCI). Si tratta di una misura drastica ed evitabile fino a due
settimane fa. Ora il problema è anche operativo: portare avanti con profitto le
due attività (tracciatura e monitoraggio su già arrivati e monitoraggio
su nuovi arrivi) renderebbe improba l’operazione in termini di poco tempo ed
enormi risorse necessarie. Per rintracciare migliaia di già arrivati,
controllare e gestire porti e aeroporti aperti e quarantene, sarebbero
necessarie energie inquantificabili;
nella
prospettiva di una inevitabile e massiccia diffusione del contagio, che ci
sarà, è urgente pensare alle eventualità peggiori. Organizzare ospedali
o affini su grandi imbarcazioni allo scopo adattate e attraccate nei porti
sardi. Non si possono in breve costruire ospedali o campi medici (anche per
motivi climatici) ma si possono adibire i locali delle imbarcazioni per
quarantene, monitoraggio, reparti di pronto soccorso e reparti di rianimazione-terapia
intensiva;
utilizzo
laddove possibile di idonee strutture alberghiere e/o resort, in aree non
urbane e dotate di ampi spazi esterni nei quali organizzare le quarantene;
allestire
pre-triage in tenda fuori dal Pronto Soccorso in ogni ospedale dell’Isola;
predisporre
i punti precedenti evitando da subito di convogliare contagiati e altri pazienti
per altre patologie negli “ospedali classici”. Non ammassare persone negli
stessi o comunque nei contesti urbani dove si trovano gli ospedali;
disporre
di un numero massiccio di maschere e tamponi i quali hanno, oltretutto, un
costo considerevole (90-100 euro). La RAS di quante unità dispone attualmente
o può disporne nel futuro immediato? È fondamentale la qualità e quantità
di dispositivi di protezione per il personale medico e sanitario per contenere
il contagio tra gli stessi, cosa che farebbe collassare subito il sistema
sanitario sardo. Per i civili, oltre maschere e dispositivi, il
distanziamento sociale e le note norme igieniche rimangono priorità assolute.
i
mezzi pubblici sono un aspetto problematico. Possono essere un veicolo del
virus, ma paralizzare i trasporti potrebbe creare il caos soprattutto nell’area
metropolitana di Cagliari. Il servizio pubblico potrebbe rimanere attivo
osservando alcune condizioni imprescindibili. Distanze tra utenti,
tratte dunque non affollate, e un’adeguata e costante sanificazione dei
mezzi. Scientificamente, un mezzo pubblico così gestito e organizzato non è
più pericoloso, ad esempio, di un negozio di alimentari;
gli anziani non devono uscire per nessuna ragione e devono ricevere
visite solo se strettamente necessarie. Tutti gli altri, ugualmente. Non è una indicazione data a
cuor leggero ma chiudere le scuole e poi ammassare, per esempio, persone in
coda in uffici pubblici per una settimana non ha avuto alcun senso e avrà
conseguenze. Il virus si diffonderà comunque. Rinviare l’inaugurazione di
qualcosa ma andare al ristorante non ha alcun senso. Limitare ogni attività non
strettamente necessaria. Per un periodo indefinito sforzarsi di vivere in modo
monacale o quasi se semplicemente si vuole continuare a vivere. Non andare al
cinema ma toccarsi e baciarsi con i propri parenti o affini non ha alcun senso.
Si è perso molto tempo per una settimana nel chiudere scuole ma non chiudere eventi sportivi, chiudere scuole ma far riunire i bambini nelle piazze a giocare e sudare assieme per poi tornare a casa da genitori e nonni anziani e debilitati. Non lo sappiamo ancora con precisione, ma questo ha comportato già dei contagi che si manifesteranno nelle prossime 2 settimane circa.
Selargius, l’Asce ospita Ippolita: seminario sulla gamification
L’OsservaMedia dell’Asce – Associazione Sarda contro l’Emarginazione – organizza due incontri che ospiteranno un componente del gruppo italiano Ippolita. Ippolita è un noto collettivo di ricerca indipendente e interdisciplinare che dal 2005 rappresenta con numerose pubblicazioni all’attivo una delle voci più originali nello studio e dibattito sulle tecnologie digitali e i loro effetti sociali.
Gli incontri in programma sono due. Il 6 marzo, alle ore 18:00, nei locali dello Spazio antifascista di Nuoro è prevista una conferenza pubblica mentre il 7 marzo, a partire dalle 16:00, si terrà un workshop di 3 ore nella sede del Centro culturale Asce di Selargius (massimo 30 iscritti).
In particolare, il seminario di Selargius riguarderà il concetto e le prassi di gamification, ovvero quei meccanismi sempre più pervasivi presenti nelle piattaforme commerciali web che riproducono automatismi e reazioni soggettive tipiche delle attività ludiche (competizione, ricompense, accumulo, etc). Dal momento che non esiste una presunta neutralità delle tecniche, gli argomenti hanno forti risvolti economici nonché politici.
Per
iscrizioni e ulteriori informazioni è possibile contattare l’OsservaMedia
all’indirizzo osservamedia@asceonlus.org
Tempio, V edizione di Cinema Migrante nel segno del Senegal
Tutto pronto per la V edizione della rassegna Walyaan – Cinema Migrante con la proiezione a Tempio Pausania di due opere cinematografiche senegalesi. Si tratta del film “Ramata”, di Léandre Alain Baker, e il cortometraggio “Ordur”, di Momar Talla Kandji. Entrambi ambientati a Dakar, capitale del Senegal e città d’origine del protagonista dei film, l’attore e regista Ibrahima Mbaye.
La serata, patrocinata dalla Regione Autonoma della Sardegna, è organizzata dalle Associazioni Sunugaal e Nord-Sud. Quest’ultima da oltre 20 anni è attiva e apprezzata a Tempio anche grazie alle attività portate avanti dai volontari con La Bottega del Commercio Equo e Solidale.
Nella mattinata di venerdì Sunugaal incontrerà gli studenti e studentesse del Liceo Artistico Fabrizio De André. Appuntamento dunque previsto per giovedì 5, a partire dalle ore 17:00, nei locali dello Spazio Faber di Tempio Pausania.
Nella settimana successiva all’attacco criminale degli Stati Uniti in territorio iracheno contro il generale dell’esercito iraniano Soleimani, sarde e sardi provenienti da diversi territori si sono incontrati a Nuoro, Sassari e Cagliari in affollate e partecipate assemblee per discutere della preoccupante situazione nel contesto medio orientale e del coinvolgimento dei propri territori nelle manovre di guerra.
Le operazioni di queste settimane mettono definitivamente la parola fine al tanto decantato multilateralismo portato avanti dalla NATO. In questo scenario di guerra totale le vittime sono le popolazioni civili che da decenni ormai subiscono le conseguenze delle mire espansionistiche economiche e territoriali delle grandi potenze che ne fanno parte.
All’interno di questa situazione, in cui emergono chiaramente alcuni attori (Turchia e Stati Uniti), anche lo Stato italiano, per quanto voglia apparire neutrale ed equidistante, ha grandi interessi da difendere. Non è un mistero infatti che lo Stato italiano mantenga fruttuosi scambi commerciali basati sulla vendita di armamenti a stati belligeranti, in spregio della propria costituzione.
Non pago di aiutare l’industria bellica a esportare i suoi prodotti, lo stato italiano foraggia ulteriormente le fabbriche di morte spostando finanziamenti dalle spese per il miglioramento della vita delle classi popolari, verso le spese militari. L’ultimo vergognoso esempio di questa pratica è l’utilizzo di 554 milioni di euro dal “fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese” per l’acquisto di due sommergibili. Uno schiaffo per quei territori che versano nel più assoluto abbandono dello stato, come per esempio quelli che in Sardegna sono stati funestati dalle alluvioni.
Noi, sarde e sardi, dichiariamo i nostri territori indisponibili al loro utilizzo per la teorizzazione e l’organizzazione delle guerre. Pretendiamo lo stop immediato delle esercitazioni che vedono partecipi anche Stati Uniti e Turchia e la dismissione di tutti i poligoni militari. Sia perché questi rendono possibile l’attacco a popolazioni civili in tutto il mondo, sia perché la loro presenza mette in pericolo la sicurezza delle sarde e dei sardi che vivono nel territorio.