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Il FIU su Teulada: la Difesa ha responsabilità oggettiva

teuladaL’incendio all’interno del Poligono di Teulada rappresenta l’ennesimo episodio di aggressione e distruzione delle risorse naturali della Natzione Sarda, continuamente sottoposta ad una feroce spoliazione. In seguito all’incendio di Capo Frasca del settembre scorso, dopo i venti ettari andati in fumo, le successive mobilitazioni popolari, il governo Pigliaru pensò di sedare il contrasto tra interessi statali italiani e nazionali sardi con la carta del fermo estivo delle esercitazioni dal 1° giugno al 30 settembre: le esercitazioni danneggiano il turismo e mettono a rischio l’attrattività della Sardigna, questa fu l’argomentata motivazione.

Da indipendentisti abbiamo sempre considerato queste prese di posizione come scelte sterili e striscianti, portatrici di sottomissione, in quanto non inserite in un più ampio quadro che miri con fermezza alla smilitarizzazione della nostra Natzione, unico e coerente sentiero per la crescita e lo sviluppo del Popolo sardo. Questo approccio è ancor più contraddittorio dal momento che l’agenda economica della Ras sottolineava contemporaneamente “l’importanza dei poligoni e aeroporti militari in Sardegna, per un armonioso sviluppo delle politiche industriali“.
Oltre a legare propagandisticamente la tutela di salute e sicurezza dei sardi in modo subalterno alla presenza turistica e alle esigenze militari italiane, abbiamo constatato che la sottomissione nei confronti dello Stato da parte della regione in quell’occasione raggiunse il grottesco quando, la stessa Ras, a dispetto della volontà dei sardi, “dimenticò” di richiedere il risarcimento per i danni dell’incendio di Capo Frasca.

Per quanto riguarda l’incendio di Teulada, verificatosi nel criptorazzista periodo di “fermo turistico”, le cause specifiche (quella generale è l’occupazione militare) sono in fase di accertamento. La Difesa assicura che i patti sono stati rispettati e che la Ras scoprirà le cause reali. Non riteniamo ci siano buone ragioni per credere alla versione dello Stato e al megafono coloniale del governo Pigliaru; e perciò, in questo clima di raggiro propagandistico, denunciamo l’ennesimo danno al nostro territorio da parte della Difesa italiana, in quanto responsabile oggettiva in forza dell’occupazione militare che la rende prima e principale protagonista della devastazione della Sardigna, tanto quella programmata e legale quanto quella accidentale. Teulada, territorio tra i più martoriati dall’occupazione militare, è l’ennesima e avvilente prova che le infrastrutture militari italiane (tanto care al governo Pigliaru) oggi, ancor più che in passato, sono strategiche per gli affari del colonialismo italiano in Sardigna, non sicuramente per la crescita economica e lo sviluppo dei Sardi.

Rilanciamo con forza la necessità di un impegno organizzato e programmatico da parte delle componenti più sensibili della società sarda, atto a costruire le prerogative democratiche e popolari che porti alla soluzione definitiva del problema occupazione militare in Sardigna: lo smantellamento delle strutture presenti sul nostro territorio nazionale, su cui deve esercitare sovranità solo il Popolo Sardo.

Fronte Indipendentista Unidu

Casteddu. Tistimunianza di Marco Santopadre innant’ a la resistenzia illu Donbass

Lucia Nazi GoracciVennari passatu, la dì 26 di làmpata, a lu circulu ME-TI di Casteddu v’è statu lu primmu di una filérina d’attoppi innant’ a la crisi ucraina e la resistenzia illu Donbass. In palticulari s’è faeddatu di l’ispiriènzia di li Repubblichi di Donetsk e Lugansk. L’attoppu è statu ulganizzatu impari da Scida – Giovunus Indipendentistas e lu Fronte Indipendentista Unidu. Continua la lettura di Casteddu. Tistimunianza di Marco Santopadre innant’ a la resistenzia illu Donbass

NO-TAV. “Le scarpe dei suicidi – Sole Silvano Baleno e gli altri” (di Tobia Imperato)

sole baleno

La repressione NO-TAV negli anni ’90. TAV_Le_scarpe_dei_suicidi di Tobia Imperato (Autoproduzioni Fenix – Torino) – No Copyright. Questo testo non è sottoposto ad alcun copyright. Chiunque è libero di fotocopiarlo o riprodurlo, in parte o totalmente. Autoproduzione Fenix! – Torino 2003

Quella che segue è una storia di parte, scritta dal di dentro, da uno che ha seguito giorno per giorno il susseguirsi degli eventi senza timore di lasciarsi coinvolgere. Non ho la pretesa – come i giornalisti servi – di essere obiettivo, ma solo quella di dire la verità, la nostra verità, su tutto quello che è successo a Torino dal marzo ‘98 in avanti […]” (Tobia Imperato).

L’indipendentismo sardo di fronte al Donbass (di Scida)

Donbass resistenza
Pubblichiamo la nostra relazione presentata al convegno del 26 giugno- organizzato a Cagliari in collaborazione con il Fronte Indipendentista Unidu- “Lotta antifascista, diritto all’autodeterminazione, tendenza alla guerra – l’esperienza delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk”.

L’Internazionalismo non si basa sul sentimentalismo romantico o cosmopolita ma è una pratica con la sua ragione di essere nella consapevolezza di appartenere ad un medesimo contesto, come il sistema capitalista mondiale o la sudditanza ad una stessa egemonia politica ed economica, quindi la condivisione dello stesso nemico. Prima di prendere una posizione riguardo il Donbass, dunque, è necessario osservare a grandi linee l’area del conflitto ucraino.

Il conflitto di interessi economici tra Unione Europea e Russia, entrambe vogliose di dominare l’economia della terra di frontiera ucraina- il polo europeo è il principale partner commerciale dell’Ucraina, 25.3% export e 40.7% import, mentre la Russia segue con 24.1% e 19.6%- è esploso alla fine del 2013 durante la presidenza di Yanukovic. Il suo rifiuto di siglare un accordo commerciale con l’UE, in novembre, ha scatenato la protesta di Jevromaidan ad opera di filoeuropeisti, presto egemonizzati da gruppi dell’estrema destra (Svoboda e Pravj Sektor) e strumentalizzati da Washington. Gli Stati Uniti, senza avere particolari interessi economici nel Paese, sono intenzionati a contenere la Russia, potenza concorrente nell’area; a questo fine, da vent’anni, foraggia organizzazioni non governative- come la Open Society di Soros- pronte a scattare a convenienza contro un governo sgradito agli USA o amico della Russia. Così è successo nel 2004, nella cosiddetta Rivoluzione Arancione, sempre contro Yanukovic ed in favore dei filoeuropeisti Yushenko e Tymoshenko e così è accaduto nel 2013. Gli Stati Uniti, vista la debolezza politico militare del progetto europeo- in bilico tra la velleità di costruzione di un proprio grande polo capitalista e l’incapacità di sganciarsi dall’ombrello NATO- hanno chiaramente approfittato del conflitto ucraino, spingendo verso un rafforzamento dei legami commerciali euroatlantici (TTIP o il proprio gas naturale liquido contro la dipendenza dal gas russo) e l’indebolimento dell’economia russa (prigioniera della propria dipendenza dal petrolio e colpita dalle sanzioni). Da Jevromajdan è sorto una specie di golpe contro il governo legittimo volto a portare l’Ucraina entro l’orbita euroatlantica. Il nuovo governo di Yatsenjuk, insediato nel febbraio 2014, diede 4 ministeri agli estremisti di destra di Svoboda, siglò il trattato commerciale con l’UE, propose di eliminare lo status del russo come seconda lingua ufficiale dello Stato. Questi tre fattori provocarono il disappunto dei cittadini dell’Est del Paese, in particolare del Donbass.

In questa regione hanno sede un importante settore metallurgico (acciaio, 40% dell’export di tutta l’Ucraina) e le miniere di carbone, liberi da ingerenze esterne, a differenza degli altri settori economici ucraini. Inoltre, questo carattere operaio- presente fin dall’epoca sovietica- unito all’importanza delle proprie risorse, ha fatto sì che i popoli della provincia di Donetsk e di Lugansk sviluppassero una propria identità, una propria volontà autonomista mostrata chiaramente dagli scioperi dei minatori nel 1993 per ottenere uno statuto autonomo. Per questi elementi, uniti alla forte componente russa e russofona (il russo è maggioritario oltre che più usato che in altre parti del paese), il popolo del Donbass è avverso al nuovo governo ed al blocco euroatlantico verso cui si sta dirigendo, in quanto danneggerebbe la propria economia e la propria cultura. In aprile- con l’occupazione dei palazzi governativi di Donetsk, Lugansk e Kharkiv- lo scontro con Kiev diventa aperto e nel maggio seguente- dopo un referendum per l’indipendenza- nascono le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk e quindi la loro resistenza armata contro l’esercito ucraino, i battaglioni neonazisti e gli interessi della NATO.

Merito di questa resistenza popolare è anche di aver fatto emergere le contraddizioni degli oligarchi ucraini, molto legati a questo territorio. I magnati sfruttatori delle risorse del Donbass- dal 1993 al 2003 sono state privatizzate 9200 aziende statali- sono stati sempre molto influenti nello Stato ucraino, controllando le risorse del paese indipendenti dal capitale straniero (commercio del gas, lavorazione del petrolio, industria metallurgica). Dai governi di Kiev- controllati in maniera diretta o indiretta- hanno sempre ottenuto dei privilegi vista la grande importanza della regione per l’economia ucraina; proprio a tutela di questi, gli oligarchi sono passati compatti dalla parte del governo centrale- sebbene una parte di essi abbia inizialmente sostenuto Yanukovic contro l’Europa- e contro i separatisti. Infatti, hanno bisogno dell’unità statale ucraina a sostegno dei propri profitti: lo Stato ucraino è uno strumento degli oligarchi (il presidente Poroshenko, il 7^ uomo più ricco del Paese è l’ultimo esempio). Il chiaro distacco tra oligarchi e militanti indipendentisti del Donbass si è avuto nel maggio 2014, quando Ahmetov – il più ricco d’Ucraina, controllante diverse fabbriche nella regione- ha chiamato i propri operai a fronteggiare i separatisti. Per tutta risposta, l’allora presidente della Repubblica Popolare di Donetsk- Pushilin- ha minacciato la nazionalizzazione delle industrie in seguito al rifiuto degli oligarchi di pagare le tasse alla RPD, accusandoli inoltre di avere derubato i cittadini per anni. Durante gli ultimi venti anni questi uomini facoltosi seppero costruire il proprio consenso nella regione, garantendo uno standard di vita superiore a quello del resto dell’Ucraina (bassa disoccupazione, alto reddito pro capite, salari in crescita); per questo il distacco tra popolo e oligarchia maturato durante lotta assume una importanza storica, oltre ad essere il segno di una lotta a carattere popolare.

Le elezioni ucraine di Ottobre 2014 hanno sancito un governo a maggioranza filoeuropeista e di Destra egemonizzato dal Blocco Poroshenko e dal Fronte del Popolo di Yatseniuk, con il 21% ciascuno dei suffragi. Il conflitto continua ancora oggi, seppure si sia cercato un accordo tra Kiev le aree ribelli su una larga autonomia per la regione ed il rispetto della lingua russa. L’influenza dei neonazisti è ancora ben presente- basti guardare al fatto che un consulente dello Stato Maggiore ucraino era un militante del Pravj Sektor- mentre il carattere reazionario dello Stato ucraino è divenuto evidente dopo la proibizione del Partito Comunista e dell’equiparazione tra nazismo e comunismo.

In Donbass è quindi in atto un movimento d’autodifesa per difendere identità, cultura, economia, lingua. Insomma, la lotta per l’autodeterminazione del popolo del Donbass è pienamente legittima in quanto antifascista e contro uno Stato oppressore. In più è anche una battaglia contro l’egemonia statunitense ed il polo capitalista europeo. Ciò significa che questa resistenza è una lotta fraterna a quella del movimento di liberazione nazionale sardo. Infatti, la Sardegna si ritrova a pagare- tramite l’occupazione militare, basti pensare al solo Poligono di Quirra, il più grande d’Europa- sulla propria pelle l’Alleanza Atlantica a tutela degli interessi dell’imperialismo occidentale e non può che esprimere la propria avversione verso un progetto europeista edificato su basi non democratiche ed in favore della creazione di un grande spazio entro cui la nostra isola, pure indipendente, sarebbe integrata solo in condizioni di sudditanza e di cui- come organizzazione giovanile e studentesca indipendentista- abbiamo più volte sottolineato i mali in ambito universitario e nelle politiche del lavoro giovanile.

L’indipendentismo sardo deve dirsi attivamente solidale con le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk e guardare- con disincanto e realismo- favorevolmente a chiunque ponga in crisi l’egemonia entro cui la Sardegna è posta come periferia, osservando come- nella storia- il declino di grandi potenze imperiali e imperialiste abbia favorito i movimenti di emancipazione.

http://scida.altervista.org/lindipendentismo-sardo-di-fronte-al-donbass/#sthash.H0xg4iUd.dpuf

23 di làmpata: “La màgica e alcàna notti di Santu Ghjuanni” (di Quirina Ruiu*)

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Rione San Giuseppe. Fochi di Santu Ghjuanni 2014 (Foto: Davide Cioncia)

La festa di Santu Ghjuanni Battista era ed è ancòra ogghj in celti zoni una di li più intarissanti e sintuti pa li sò riti e cirimùniali chi unìani lu sacru a lu pruffànu, la maìa a la religioni. In Gaddhùra, cussì come in tutta la Saldigna, chista festa tulbà abbhèddhu l’animi di li passoni rindendili ansiosi e timurosi. Cumbinà cu lu solstizio di lu stiu, cu lu cumenciu di una stagjoni nόa, a mitai di lu mesi di lampata (giugno). Lu triunfu di la lùci dìa esse cilibratu cun riti a l’aria abbalta. Era chissu lu mumentu di ricurrì a riti màgici pà garantì la rinàscita di la ‘ita. Lu 23 di lampata, alla vigghjlia di la festa, s’accindiani illi piazzali di li paesi fochi manni fatti cun muntoni d’albi odόrosi sicchi.

Lu focu era lu sìmbulu di la libbarazioni da dugna malu e silvìa a l’animi pa pulgassi. In chista notti speciali, masci e femini, tinendisi pa manu brincàni lu focu a lu gridu di “Cumpari e Cummari”. Si lìani cu un pattu simbόlicu chi era folti come la sanghinitài e ancora di più e li ubricagghja a dόveri di rispettu e amicizia pa tutta la ‘ita. Li gaddhùresi chi stagghjani illi custéri facìani lu bagnu in mari primma chi si ‘ussia pisàtu lu sόli e s’andagghja a piddhà l’ea màgica a li funtani sempri primma di fa sόli palchì si pinsaìa chi l’ea fussìa stata miraculόsa. Sempri alla vigghjlia, li femini facìani riti pà aè sintόri si si sarìani cuìuati entru l’annu e si lu sposu ‘ussìa statu riccu o pòaru. Andagghjani in campagna a signà li pianti di tarabbucciu (asfodelo) cun fiucchitti culurati, facìani un nodu e dugnuna esprimìa lu sò disicìu avvocchendisi a li folzi cilesti a nommu di Santu Ghjuanni. La dì infattu, ansiόsi, turrani a controllà li pianti e a ligghivi la solti.

Si ‘ussini agattatu illa pianta una frummìcula, lu sposu sarìa statu un capragghju, si ‘ussìni agattatu un mangoni, sarìa statu un vaccàgghju, sinnò vi ‘ussìa statu nuddha, lu sposu sarìa statu un pòareddhu. Un altu ritu pratticatu da li femini gaddhùresi era chissu d’accapità lu fiόri di la caldìccia chi vinìa brusgjatu e postu in una tazza d’ea lacàta tutta la notti fora illu davanzali; si la matina ‘ussìa rimpuddatu era signu di bona fultuna illu cuìuà. Cà in chista notti ‘ussia ‘istu la sò spera chena capu ill’ea di calche puzzoni, no ci arìa bucatu l’annu.

Un altu còmpitu di li femini era andà pa li campi a accapità l’albi mèdichi palchì, in occasioni di la suzzietà tra lu sόli e la luna, era cridenzìa chi lu lintori di la notti ‘ussìa criscìutu lu sò poteri di curà li malatii. L’alba ruda (ruta) era la più cilcàta tra chissi miraculόsi, subrattuttu pà lu sò pudèri di tinè alloga li dimòni e la rèula (la prucissioni di l’animi pinitenti) chi era assai timuta palchì cà l’arìa intuppata sarìa moltu entru l’annu. La ruda era tinuta come una punga da pultà sempri indosso pà no aè di chisti assucconi. Era puru cilcàta la spica aresta (lavanda) pà lu sò proffumu e vinìa trattata da li femini pà dà odόri beddhu alla biancheria. Cu l’albi si curà puru lu mali di l’animu (depressione). La festa di Santu Ghjuanni aìa puru un valori sociali palchì era un mumentu d’unioni tra la cumunitài; era puru impultanti pà li pastori massài palchì a lampata finìa l’annu agràriu; si chjudiani li cuntratti ‘ecchi di mezapparu e s’ abbriani li nόi.

Di chisti riti e cridènzi, chi in passatu erani sintuti in mόdu particulàri in Gaddhùra e illa Cossica undi Santu Ghjuanni è assai onoratu, ogghj, lu più sό andati palduti, ma la maìa e lu mistéru di chista notti è sempri ‘ìa ill’ammenti di cà l’ha ‘issuti e sò intrati a fa palti di una tradizioni, chi pal cantu siani stati sminuiti da la scenzia, sό mala a sminticà proppriu palchì facìani sunnìa l’animu di la ghjenti e lu tinìani allegru.

* Pubblicato originariamente in Sardegna Soprattutto l’11 giugno 2014 http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/3334

Lurisi. Un suzzessu la III edizioni di Domos Abbeltas

tzilleri rock
Seconda giornata di Domos Abbeltas. Alla Domo n. 51 – Su Tzilleri dell’Associazione Custessora – suona il rock della Mauro’s Band (Foto: Andrea Satta)

Un suzzessu in Lurisi la III edizioni di Domos Abbeltas, li “Cortes Apertas” gaddhuresi. Prisenzi un pocu in crescita pa una di li manifestazioni più in vista di lu nord Saldigna. Lu modellu è chissu di l’eventu spaltu undi la mannura – iscendini da lu boitu maxi eventu monopulizzatu e stragnu a lu locu – no è altu chi l’impultanzia di un cuntestu di attoppi “minori”, chi folmani olganicamenti lu ‘alori agghjuntu di l’offelta turistica. A una ‘olta, valurià li siènzi e li capitali di lu paesi – ispissu amendui suttustimati – in cunfolmitai cu l’identitai di la comunitai. La manifestazioni spalta pilmetti di silvì un nummaru impultanti di passoni chena miminà la galitai di lu silviziu offeltu e li siènzi divessi in dugna puntu di lu caminu. La cooperazioni è, pa definizioni, una chjai nizissària in modu chi l’eventi diffusi agghjni pruvettu e, ill’apparenti spaldìziu, aunini una comunitai innantu a la storia e li pirìzi soi, rinfulzendila economicamenti. Tutti cussì poni imbiccà calche cosa chi li possia piacì, comu lu géniu di li visittadori mattessi cambigghja a dugna stritta imbuccata: una rasogghja, un cuadru, unu spultinu in, una pitànzia nostrana, un muisè, una canzoni. Cun 60 domos abbalti a lu pùbblicu, indrentu a un centru storicu riccu di sugghjstioni, da l’altigianatu a l’assagghj, da l’ammenti storichi e populari a li bruttei d’ugna scera, a lu magnu e bì di galitai, v’è solu di sciuarà.

Lurisi – cun mancu di 3.000 abitanti – chjudi la telza edizioni di Domos Abbeltas cun più di 10.000 prisènzi stimati e, impultanti, un magghjóri ghjru d’affari. Una cunfelma pa lu paesi gaddhuresu chi cilca cussì di middurà l’offelta turistica valuriendi li raichi di la comunitai e rindendisi bè sumiddabili a fora,  cumpruendi cu la pratica li pussibilitai manni chi ani li comunitai saldi.

Luras. Un successo la III edizione di Domos Abbeltas

Un successo a Luras la III edizione di Domos Abbeltas, le “Cortes Apertas” galluresi. Presenze in lieve aumento per una delle manifestazioni ormai più in vista del nord Sardegna. Il modello è quello dell’evento diffuso dove la grandezza – superando l’avvilente maxi evento monopolizzato e avulso dal contesto locale – non è altro che l’importanza di un complesso di appuntamenti “minori”, che formano organicamente il valore aggiunto dell’offerta turistica. Insomma, valorizzare le competenze e i capitali del paese – spesso entrambi sottostimati – in coerenza con l’identità della comunità. La manifestazione diffusa permette di servire un numero importante di persone senza ridurre il livello dell’offerta e marginalizzare le singole competenze in ogni punto del percorso. La cooperazione è, per definizione, una chiave indispensabile per la riuscita di eventi diffusi che, nell’apparente dispersione, uniscono una comunità su storia e maestrie proprie, rafforzandola economicamente. Tutti possono incontrare qualcosa di proprio gradimento, e i gusti dei visitatori stessi cambiano ad ogni vicolo imboccato: un coltello, un quadro, un cestino in vimini, una pietanza tipica, un museo, una musica, un libro. Con 60 domos aperte al pubblico, dentro un centro storico ricco di suggestioni, che vanno dall’artigianato alle degustazioni, dalle rievocazioni storiche e popolari a laboratori di ogni genere, al cibo e alle bevande di qualità, non c’è che l’imbarazzo della scelta.

Luras – con meno di 3.000 abitanti – chiude dunque la terza edizione di Domos Abbeltas con oltre 10.000 presenze e, dato rilevante, un giro d’affari in crescita. Una conferma per il paese gallurese che cerca così di migliorare l’offerta turistica valorizzando le radici della comunità, rendendosi sempre più riconoscibile all’esterno e mostrando con la pratica le grandi possibilità a disposizione delle comunità sarde.

http://www.ilminuto.info/sc/2015/06/luras-un-successo-la-iii-edizione-di-domos-abbeltas/

Nazione abortiva (di Andria Pili)

orientamento scolastico arruolamentoIl 5 giugno scorso, il comune di Selargius ha dedicato una piazza ad Alessandro Pibiri, caporalmaggiore scelto della Brigata Sassari, in occasione del nono anniversario dalla sua scomparsa in un attentato a Nassiriya. L’evento mi ha toccato come selargino, fornendomi un’occasione per riflettere sui delicati temi della memoria dei caduti e sul rapporto tra la società sarda, i giovani ed il militarismo.

Gara di retorica militarista

Protagoniste della commemorazione le alte cariche militari della Brigata Sassari, il sindaco Gianfranco Cappai ed il cappellano militare Marco Zara. Tre pilastri dell’oppressione- Esercito, classe dirigente, Chiesa- uniti dalla medesima retorica.

Ad inaugurare la gara di eloquenza è Don Marco, il quale- prima di benedire la corona di alloro per il monumento funebre al sassarino- ha voluto evidenziare l’importanza del ricordo “che ci fa crescere e diventare uomini, sull’esempio di chi offre la sua vita per la libertà”.

La gara al più militarista è stata vinta ampiamente dal sindaco, il quale ha parlato di “debito di gratitudine verso i soldati caduti nella missione di pace”; “fiducia verso tutti i giovani in uniforme, animati da sani principi” i quali mettono a repentaglio “la vita per ristabilire condizioni di pacifica convivenza in terre lontane”. La denominazione della piazza sarebbe una “occasione per tributare ai nostri coraggiosi soldati (…) in particolare ai giovani della Brigata Sassari (…) il doveroso riconoscimento (…) per il servizio che rendono alla Patria”. Il sindaco del centrodestra unionista ha ricordato, come un vanto, che il comune ha dedicato alla Brigata Sassari un parco, oltre ad aver consegnato alla stessa una onorificenza. E ciò è stato fatto proprio in nome del “rapporto di reciproca stima che lega Selargius alla Brigata Sassari”. La scelta di dedicare il luogo al caduto nel 2006 è rivolta “ai giovani cui vogliamo proporre un modello, un esempio da seguire” oltre che un posto per “riflettere sui principi morali che hanno animato e animano i nostri soldati, giovani e meno giovani, in missione di pace, di farli propri nella vita di ogni giorno e viverli pienamente”.

Di fronte a questa grandiosa esibizione, il generale Nitti- dopo l’immancabile Preghiera del Soldato, in cui si chiede a Dio un aiuto per obbedire “alla Patria”, sebbene gli 800 euro mensili di un VFP1, i 950 di un VFP4, i 1400 di un VSP, più i 100 euro giornalieri per chi si trova in missione, dovrebbero già essere più che sufficienti allo scopo- non ha potuto che fare da accompagnamento al primo cittadino. Il Comandante della Brigata ha voluto ricordare un “concetto importante: i caduti in combattimento non sono eroi di altri tempi (…) ne abbiamo prova anche oggi dell’eroismo di chi opera nei teatri (…) Alessandro ne è la testimonianza”. Chi sono i caduti? “persone che hanno dato la vita per una causa giusta, per cui la Patria gli ha chiesto di operare”.

In sintesi: giustificazione morale del contributo militare italiano all’occupazione dell’Iraq; esaltazione dei soldati dell’Esercito Italiano; i caduti in missione come esempio da imitare per i ragazzi. Come era ovvio, nessuna riflessione veramente utile per i giovani sardi e mistificazione della realtà.

La cruda realtà, infatti, dice che: i soldati morti in Iraq sotto divisa italiana hanno dato la vita per l’imperialismo, durante un’occupazione militare che non ha migliorato la vita degli iracheni ma solo l’attivo delle multinazionali, come l’ENI, uniche ad avere un debito di gratitudine; la missione non è stata di pace, bensì di guerra – vedi la Battaglia dei Due Ponti ma anche il contesto in cui Pibiri stesso è morto, mentre scortava un convoglio logistico delle forze armate britanniche proveniente dalla provincia di Maysan, ove le truppe della Regina si sono distinte per violazioni dei diritti umani (vedi dossier Hague); i principi dei soldati non sono altro che una copertura ideologica, volta a dare dignità ad un impegno altrimenti inaccettabile sul piano etico e ad una scelta dettata da motivazioni economiche (nel 2007, il 70% delle richieste d’arruolamento proveniva dal Sud e le isole).

Per queste ragioni è necessario ribaltare il ricordo dei caduti: da eroi immolatisi per la giusta causa della “Patria” a vittime, ragazzi che avrebbero potuto dare un contributo alla propria comunità se lo Stato non gli avesse persuasi- specie con la sirena della “indipendenza economica”, sempre evidenziata dalla propaganda per l’arruolamento nel sito delle Forze Armate- a indossare una divisa. I giovani sardi, anziché farne un esempio da imitare, dovrebbero essere mossi da questo ricordo per lottare in nome del cambiamento di una società colonizzata, perché questa smetta di generare morti e dia modo a tutti di completarsi.

Figli della colonia Sardegna.

Il fatto che Alessandro Pibiri sia stato della mia città, abbia risieduto nel mio stesso quartiere, abbia frequentato le mie stesse scuole elementari, senza contare le comuni conoscenze, mi ha reso più evidente come io stesso avrei potuto essere come lui. Allo stesso tempo mi ha reso ben chiara la dimensione della tragedia- sebbene, nella grande maggioranza dei casi, chi indossa la divisa sia un privilegiato- per cui dei sardi sono caduti in missione “di pace”. Figli della Sardegna ma privi delle occasioni, delle esperienze, delle letture che hanno reso immuni dal militarismo italiano altri ragazzi come loro, minoritari almeno al tempo dell’occupazione dell’Iraq.

Figli di una scuola che non è volta ad educare i ragazzi al senso critico ma, al contrario, è veicolo dell’ideologia di Stato per cui i soldati italiani sono degli eroi, l’arruolamento nell’Esercito è un’occupazione come un’altra, anzi migliore, e le missioni di pace sono giuste. Indicativi sono certi temi imposti ai ragazzi delle scuole superiori, a volte per concorsi a premi ufficiali delle Forze Armate e della Difesa, come nel 2008 per l’ITC di Macomer “L’Esercito italiano una risorsa per il paese” o quest’anno per il centenario dell’ingresso italiano nella Grande Guerra. Educati, inoltre- questo è un grande punto distintivo rispetto alle altre regioni sfruttate della Repubblica- nella convinzione che la storia della Sardegna non esista, che la propria storia sia quella dell’Italia, quindi che questa sia la Patria da servire e la Repubblica Italiana l’istituzione cui è dovuta fedeltà. Posso raccontare due esperienze personali, come studente e come attivista politico: durante il mio ultimo anno di Liceo (2008/09) ho incontrato almeno 4 volte dei militari- due volte a scuola, una volta alla Fiera di Cagliari, un’altra volta all’orientamento universitario in Cittadella Universitaria ed oggi li avrei incontrati anche all’iniziativa OrientaSardegna- mentre non ho incontrato esponenti di altre professioni; da attivista dell’indipendentismo giovanile, durante un’assemblea di istituto, un ragazzino mi confidò di aver studiato la storia sarda soltanto come punizione, un compito aggiuntivo per essersi comportato male.

Figli di famiglie cattoliche, la cui Chiesa- dall’etica alterata- mentre non perde occasione per indicare a tutti il retto uso dei genitali e, alle donne, del proprio corpo, non ha mai usato la propria forza “spirituale” per orientare i propri fedeli contro la guerra imperialista. Quest’ultima, al contrario, è stata benedetta di fatto dalla presenza costante di uomini del clero ad ogni evento dell’Esercito Italiano e in maniera diretta dai discorsi dell’alto clero. Basti citare solo il discorso pronunciato dall’arcivescovo di Sassari, Paolo Atzei, durante una cerimonia al Sacrario Militare, lo scorso novembre: “valore delle missioni di pace (…) l’impegno dei soldati a tutela e protezione dei diritti dell’uomo e di tutti i popoli (…) un valore come il diritto alla pace va coltivato e rispettato, ma anche il valore della difesa della Patria e della comune fede cristiana (…) alla fine – quando ci sarà il giudizio universale– ci verrà chiesto se abbiamo agito in difesa di questi valori comuni o se ci siamo limitati a curare il nostro orticello”.

Figli di una società che ha interiorizzato il militarismo, dal mito del tributo di sangue dei sassarini sul Carso alle conseguenze sociali e culturali dell’occupazione militare, che ha convinto delle comunità di avere bisogno di basi militari anziché di progetti di sviluppo, soffocati dalla presenza delle servitù. Una società sottoposta alla dipendenza economica, incapace di fornire delle opportunità ai propri giovani: la Sardegna è ultima delle regioni dello Stato e tra le ultime regioni d’Europa (265^ su 269) per numero di laureati; seconda in Italia e nona in Europa per tasso di dispersione scolastica (23.5%), quindi pone sul mercato del lavoro un ingente numero di ragazzi destinati a lavori scarsamente qualificati e precari; gli studenti sardi sono intrappolati in circolo vizioso tra un’educazione scolastica e superiore che punta al ribasso e l’incapacità di assorbire coloro che sono altamente qualificati, costringendoli all’emigrazione giacché, nella nostra isola, andrebbero incontro a lavori sotto la propria competenza. In questo contesto, con un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 50% e del tutto privi di una prospettiva di lotta come pure degli strumenti per distinguere il vero dal falso, è normale che i giovani della nostra terra considerino l’arruolamento una cosa giusta da fare.

Il sindaco di Selargius, con il suo discorso, ha dimostrato di essere parte della classe dirigente sarda che, ostinata esecutrice della propria funzione coloniale, continua nella produzione di “aborti” come se non ci fosse una via di uscita. Analogamente, la città che amministra è emblema della Sardegna tutta. Pensiamo alla costruzione di un grande centro commerciale (Bricoman) presentata come grande opportunità di lavoro, contro artigiani e piccoli commercianti, mentre numerosi negozi cittadini hanno chiuso i battenti. Guardiamo le vie che ricordano grandi eventi della Grande Guerra e del Risorgimento, le annuali celebrazioni del 4 novembre e notiamo come la celebrazione della presunta “italianità” sia accompagnata dal disprezzo per la propria storia; infatti, solo una conferenza in aula consiliare- nel 2011- per rievocare i tumulti selargini del 1779, precursori della Sarda Rivoluzione, mentre una croce del XV secolo viene sorpassata giornalmente da ignari automobilisti ed un villaggio neolitico (Su Coddu) viene “decorato” dal cemento e dai mattoni per la costruzione di graziose villette. Infine, osserviamo il cartello all’ingresso della città: CERAXIUS; simbolo di una comunità tanto abituata alla relegazione della propria lingua nel privato e nel solo parlato, da essere incapace di scrivere correttamente il proprio nome.

Spetta ai giovani più coscienziosi operare perché i propri coetanei non ripongano più alcuna speranza nello stato di cose presente. La lotta per la realizzazione di un ordine più giusto in Sardegna, contro la destinazione d’uso coloniale decisa dall’oppressore, ha nella cultura la sua arma principale. L’identificazione del nemico passa per la consapevolezza di sé, in particolare tramite l’uso della propria lingua e la conoscenza della propria storia. In concreto, è necessario combattere per un sistema educativo sardocentrico, l’uso del sardo in ogni ambito, la realizzazione di media pensati in sardo per i sardi. Questi sono gli strumenti per costruire un ambiente in cui i più giovani concepiscano la diversità della propria terra, della propria condizione sociale ed economica, diventino sensibili ai messaggi di autodeterminazione e quindi si uniscano alla costruzione di una Repubblica libera di individui liberi e completi

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Tempio Pausania. Biancareddu, primo Consiglio: distensione, formalità e commissione elettorale

giunta bSi è tenuto ieri 16 giugno il primo Consiglio comunale tempiese con il neoeletto sindaco Andrea Biancareddu. Assemblea con passaggi formali, come il giuramento prestato dal Sindaco, la presentazione ufficiale della Giunta e la proclamazione dei consiglieri eletti, con vari interventi di ringraziamento e propositi amministrativi. Il vicesindaco, Anna Paola Aisoni, auspica ad una collaborazione e coesione tra maggioranza e minoranza su temi forti che saranno vere e proprie “guerre da affrontare“, augurandosi che gli eletti tengano “separati il confronto politico dallo scontro personale“. L’aria, come prevedibile, è proprio quella della distensione post campagna elettorale, con Balata che parla da capogruppo di un’azione politica da “minoranza e non di opposizione” e Biancareddu che prospetta un governo da “sindaco di tutti” richiamando forte unità su temi cruciali per il futuro della città. Sulla stessa linea distensiva l’Assessore Quargnenti che sottolinea e rende merito del lavoro svolto al suo predecessore, oggi consigliere di minoranza, Antonio Addis, augurandosi di proseguire con profitto sul solco del lavoro svolto e tracciato nei cinque anni precedenti.

Biancareddu mantiene la competenza al Bilancio, salvo la possibile delega a breve giro di posta (non sono state infatti assegnate deleghe minori nel corso dell’Assemblea) per la quale al momento non ci sono indicazioni più precise. Inoltre, sono stati designati dal Consiglio i componenti (due alla maggioranza e uno alla minoranza) della commissione elettorale, sia effettivi che supplenti. Nel primo caso: Franco Marotto, Sergio Pala e Monica Liguori (minoranza). Per i supplenti: Tato Usai, Daniela Lattuneddu e Daniela Campra (minoranza).

Prossimo Consiglio comunale a data da destinarsi.

Giunta comunale

  • Andrea Biancareddu: Sindaco, Bilancio e Presidente Consiglio comunale;
  • Anna Paola Aisoni: Lavori pubblici, Urbanistica ed Edilizia Privata (vicesindaco);
  • Alessandra Amic: Servizi Sociali, Dinamiche della Famiglia, Politiche Comunitarie e Giovanili;
  • Francesco Quargnenti: Ambiente, Polizia locale, Protezione civile, Sicurezza e Viabilità urbana e rurale;
  • Gianni Addis: Turismo, Sport, Spettacolo, Cultura, Pubblica Istruzione, Commercio, Industria, Artigianato e Personale;

Consiglieri di maggioranza

  • Anna Paola Aisoni
  • Giovanni Antonio Addis (noto Gianni)
  • Francesco Quargnenti
  • Alessandra Amic
  • Francesco Marotto (capogruppo)
  • Giuseppe Pirinu
  • Daniela Lattuneddu
  • Giuseppe Marco Roberto Usai (noto Tato)
  • Sergio Pala
  • Aurora Careddu
  • Massimiliano Pirrigheddu

Consiglieri di minoranza

  • Antonio Balata (capogruppo)
  • Antonio Addis
  • Monica Liguori
  • Daniela Campra
  • Sebastiana  Carta

Tèmpiu. Alga: silviziu panni igiènichi

Logo_quadrato_AI_pngComu annunziatu illi chiti passati, in Tèmpiu Pausania, tra li nuitai di la gistioni di lu silviziu pa l’alga da palti di lu gistori nou (Ambiente Italia) è privistu chi l’indiffarenziatu ‘enarà accoltu una sola ‘olta la chita; chistu pa cilcà di privinè cumpultamenti oppoltunisti da palti di li zittadini chi abbassani l’accolta diffaranziata, smannendi li costi di cunfirimentu in muntinagghju e la cunsighenti inettitudini di lu silviziu. Chistu, parò, cumpolta illu matessi momentu difficultai a famili e strutturi undi vi siani isvàliti, anziani e steddi minori. Pa chistu muttiu, comu annunziatu da Ambiente Italia, veni privistu un silviziu apposta pa l’accolta più frecuenti di li panni igiènichi. Pa pudè aè chistu silviziu è nizissariu sighì l’infulmazioni di lu mòdulu di dummanda pripparatu da lu Silviziu Frabbichi Priati e Ambienti. Lu mòdulu in autociltificazioni andarà lacatu a l’Uffiziu Protocollo di lu Comuni gaddhuresu.

Tempio. Rifiuti: servizio panni igienici

Come annunciato nelle scorse settimane, tra le novità del servizio di gestione rifiuti da parte del nuovo gestore (Ambiente Italia) è previsto un unico ritiro settimanale del residuo secco; questo al fine di prevenire comportamenti opportunistici da parte dei cittadini che riducono la frazione differenziata, incrementando i costi di conferimento in discarica e l’inefficienza del servizio. Tuttavia, questa previsione al contempo crea forti disagi a famiglie e strutture nelle quali sono presenti disabili, anziani o bambini. A tal proposito, come annunciato da Ambiente Italia, è previsto un servizio dedicato per la raccolta supplementare dei panni igienici. Per usufruire del servizio è necessario attenersi alle istruzioni contenute nel modulo di richiesta predisposto dal Servizio Edilizia Privata e Ambiente. Il modulo in autocertificazione andrà consegnato presso l’Ufficio Protolollo del Comune gallurese.               http://www.comune.tempiopausania.ot.it/attachments/article/2698/richiesta%20ritiro%20panni.pdf

http://www.ilminuto.info/2015/06/tempio-rifiuti-servizio-panni-igienici/

Decimomannu. Il Fiu sull’attacco al corteo

decimomannu
“I manganelli italiani non fermeranno il riscatto della Sardegna”

Il Fronte Indipendentista Unidu ha partecipato questa mattina al corteo lungo la base militare di Decimomannu, indetto dalla rete “No basi né qui né altrove“. Abbiamo verificato come le preoccupazioni fossero più che fondate: lo spostamento delle esercitazioni autunnali con lo strumentale zuccherino dello Stato è stato negli ultimi giorni finalizzato allo stigmatizzare la lotta contro l’occupazione militare agli occhi dell’opinione pubblica e, al contempo, allentare la tensione in vista del corteo a Decimomannu. Dopo gli ambigui comunicati dell’Aeronautica, le menzogne su esercitazioni inventate dai sardi – al contrario si tratta di una base militare in piena, impattante e reddizia attività – abbiamo assistito alla chiusura del cerchio. I manifestanti hanno subito un attacco gratuito da parte delle forze di occupazione italiane schierate a difesa della Base. Non è nostra intenzione attirare il pietismo del popolo o dello Stato colonizzatore e ribadiamo che la cultura del manganello italiana si è mostrata per quello che è, per gli interessi che persegue e dobbiamo prendere coscienza che non può essere diversamente. Sappiamo che questo trattamento è inevitabile verso chi si oppone all’imbruttimento del nostro Popolo, all’occupazione militare del territorio, anche con un semplice scuotere le reti a mani nude. Denunciamo l’attacco dello Stato e richiamiamo il nostro Popolo alla massima attenzione e mobilitazione, consapevoli che se la reazione dello Stato è tale, significa che la via intrapresa è quella giusta. Il Fronte Indipendentista Unidu ribadisce massimo sostegno alla lotta contro l’occupazione militare e rispedisce al mittente la repressione; esprimiamo solidarietà  al  manifestante fermato da parte della polizia. I manganelli italiani non fermeranno il riscatto della Sardegna.