Estero. Le elezioni che nessuno vuole vincere (di Marco Piccinelli)
La domanda sembra essere necessaria: sicuri che le elezioni a Roma vuole vincerle qualcuno? Lapidaria e spietatamente cinica, se si vuole. Ma, a volte, il cinismo è necessario per inquadrare una situazione politica con la freddezza ed il distacco opportuno. La notizia del complotto contro i 5 stelle, come dichiarato ieri dalla On. Senatrice Paola Taverna, inizialmente fa contrarre il viso in una specie di sorriso: «Ho pensato che potrebbe essere in corso un complotto per far vincere il Movimento Cinque Stelle a Roma».
Di solito la retorica complottista non si manifesta in favore di un’organizzazione che – a sua volta – usa la teoria complottista per spiegare molte delle cose che accadono in politica e geopolitica perché non sviluppa analisi al proprio interno, né un qualsiasi dibattito. In realtà, non c’è nessun complotto per far vincere questo piuttosto che quello. C’è, anzi, la volontà di non vincere da parte di molti dei personaggi politici che si sono candidati alla carica di Sindaco di Roma.
Le primarie del Pd: il polo liberal
Da parte del Partito Democratico non c’è stata fin da subito un’organicità, nel proporre la rosa dei nomi dei candidati. «Quando mai c’è stata!», potrebbe dire qualcuno, e neanche avrebbe poi così a torto, visti i nomi degli scesi in campo per le primarie: Giachetti, Morassut, Pedica, Mascia (Verdi), Rossi (Centro Democratico) e Ferraro, la ragazza autistica che si candida per porre sotto i riflettori la disabilità e l’autismo, questioni a cui la politica non bada più, se non in termini meramente numerici, di tagli, posta sempre più sotto il giogo dei mercati. Una questione, quella della disabilità, che non è affatto nell’agenda del Governo Renzi, né rientrò in quelle dei passati esecutivi. Il Partito Democratico stesso, dunque, non sembra si stia adoperando in favore delle primarie: se nelle passate occasioni, infatti, si invocava lo strumento del partito come risolutore, nella fase attuale non sembra esserci tutta questa predisposizione. Lo stesso Giachetti, infatti, ha annunciato la propria candidatura (quasi) in solitaria e senza una data certa per la consultazione che avrebbe fatto uscire dal cilindro il nome del candidato sindaco della coalizione capitanata dal Pd.
I nomi, primarie “in sordina”
Il nome di Morassut, infatti, sembra essere una mera imposizione dall’alto, dato che il suo nome – assieme a quello di Masini – circolava da circa due anni negli scenari della cronaca politica romana del post-Marino mentre gli altri candidati sembrano piuttosto deboli: Mascia, ora portavoce dei Verdi di Roma, ha una lunga storia di organizzatore e militante in comitati che poco avevano a che fare con l’area liberal che il Pd vuole andare a rappresentare nella Capitale. Dai comitati Boicotta il Biscione al Popolo Viola, la storia di Mascia è quella – quasi – di un non-allineato e, invece, ora sembra entrare a far parte con fin troppa facilità nel meccanismo sibillino delle primarie. Pedica, allo stesso modo, dopo il proprio percorso nel campo moderato/democristiano è parte integrante dell’Italia dei Valori fino ad uscirne con Donadi, che aveva fondato l’associazione Diritti e Libertà la quale si sarebbe unita al Centro Democratico.
L’esponente ex-Idv, infatti, già nella precedente campagna delle Primarie, si candidò autonomamente, tuttavia quella competizione prese un’altra piega. Se, infatti, nella precedente consultazione interna all’area liberal si potevano notare nomi di spicco come Gemma Azuni (consigliera comunale uscente, poi rieletta), David Sassoli, Paolo Gentiloni e Mattia di Tommaso, ora la competizione sembra procedere unitariamente in sordina. Si va in televisione con moderazione, si diramano comunicati cum grano salis e così via. Tutto, quindi, rigorosamente in punta di piedi dato che sia da una parte che dall’altra c’è la consapevolezza, infatti, che la carta vincente è riuscita a sfuggire dalla presa dei due maggiori schieramenti (Cinque Stelle a parte) a guisa d’anguilla: Alfio Marchini. Il Partito Democratico di Roma, vista sfumare la carta del candidato è stato costretto ad una ritirata tattica che, al momento, seguiterà ad essere la manovra del partito fino al 6 marzo, data stabilità per le primarie.
Il centrosinistra: Fassina/Marino
Non si può più, infatti, parlare di campo politico di centrosinistra tra quello componente le varie forze politiche messe insieme dal Partito Democratico quanto – semmai -, come prima detto, di polo liberal. Il centrosinistra, in fin dei conti, è quell’area che ora – specialmente nella confusa politica capitolina – è rappresentata dall’area di Sinistra Ecologia Libertà e dai promotori dei due sindaci extra Pd-Cd-Verdi, ovvero Stefano Fassina e Ignazio Marino (si tralascia qui la figura di Bray, sorta e tramontata in un pugno di giorni). La confusione all’interno dell’area di centrosinistra regna sovrana tanto che la posizione di Stefano Fassina riguardo la partecipazione alle primarie è cambiata più volte nel giro di pochi giorni, così come quella della partecipazione di un’eventuale Lista Marino e della sua associazione costituitasi subito dopo le sue dimissioni da primo cittadino, Parte Civile. Lo scontro in tale area è tutto all’interno di Sel dato che, come prevedibile, a seguito del Documento degli amministratori una parte consistente del partito sente di dover rimanere legata alla coalizione con il Partito Democratico per rientrare a far parte delle stanze dei bottoni dato che un’accordo con le forze extra-dem sarebbe deleterio per un partito come quello di Vendola che vive di gestioni amministrative in accordo con il Pd.
C’è un complotto per farci vincere e farci fare brutta figura
L’oggettività della questione romana, però, si palesa tutta con l’espressione dell’On. Senatrice Paola Taverna (M5S) dal momento che non c’è nessun complotto per far vincere questo o quello nella Capitale: c’è la volontà, da parte di tutti, di giocare di rimessa e di non aggiudicarsi il bottino. Tutti corrono per perdere ad eccezione di un unico candidato che, a quanto pare, sta facendo sul serio perché il solo ad aver iniziato la campagna elettorale: Alessandro Mustillo (candidato sindaco per il Partito Comunista) nel silenzio generale sta lavorando e accumulando forze in vista dello scontro giacché, rebus sic stantibus, quella del PC potrebbe essere l’unica lista extra-Pd.
Il fatto che un’esponente di primo piano del Movimento 5 Stelle rilasci delle dichiarazioni simili molto alla leggera, lascia trasparire un paio di riflessioni conseguenti:
1 Il piano Marchini, tirato per la giacchetta da Pd e Centrodestra, è fallito e il bell’Alfio continuerà a correre da solo strappando voti ai cattolici del Pd e ad una parte consistente d’elettorato di centrodestra. E’ è utile ricordare, infatti, che Marchini viene appoggiato sia da Udc che da CRI – Conservatori Riformisti Italiani, il partito di Fitto può contare – almeno a Roma – sulla forte presenza di Luciano Ciocchetti che sarà non poco d’aiuto in termini di voti per il candidato sindaco
2 Il Partito Democratico, al momento, non è in grado di esprimere una leadership forte, nonostante le candidature che formalmente ha a disposizione per le primarie, dal momento che il piano Marchini e della «lista civica unitaria di entrambi gli schieramenti per sconfiggere i cinque stelle», come affermato prima da Cicchitto e poi dalla Lorenzin nei primi giorni dello scorso novembre.
3 Chiunque vinca sarà alle prese con una gestione ai limiti dell’impossibile della città a causa del Patto di Stabilità e del Piano Tronca (che non è stato evidentemente redatto con l’intento di rappresentare una gestione commissariale ma è un vero e proprio programma per la città di Roma, fatto di tagli e ridimensionamenti a trecentosessanta gradi). La situazione, dunque, comprometterebbe da una parte i delicati equilibri di governo, dall’altra quello dell’opposizione quale che sia, pentastellata o forzista anche perché oltre al piano Marchini è saltato anche quello dell’asse Lega-Fd’I.
La questione delle destre
A destra la situazione è altrettanto confusa: al momento i nomi in lizza sono Storace, Bertolaso e Di Stefano. Il primo è candidato dell’organizzazione politica da lui fondata, La Destra, mentre sul secondo e sul terzo le questioni tendono ad intrecciarsi. Bertolaso è stato tirato in ballo da Berlusconi e da Forza Italia, dopo che la danza intorno ai nomi papabili per ricoprire l’incarico di candidato a Sindaco di Roma s’era fatta sempre più frenetica col passare dei giorni. Prima Giorgia Meloni, poi Rita dalla Chiesa ma il nodo della questione è, come chiaramente si può comprendere, la partecipazione o meno della Lega Nord alla coalizione. In un primo momento, almeno a parere di chi scrive, si stava dando quasi per certa la candidatura di Giorgia Meloni con il supporto delle due associazioni rappresentanti Lega Nord e Casa Pound Italia (Noi con Salvini – Sovranità). Il nome dell’esponente di primo piano di Fratelli d’Italia, però, come spesso accade, è finito con l’essere evocato e mai concretizzato da nessuna delle tre forze in campo, men che meno da Fd’I stesso. Nel caso della conferma della candidatura di Giorgia Meloni, sarebbe stato più che ovvio un appoggio da parte dell’associazione Sovranità. Ma il vero coup de théâtre arriva quando scende in campo Bertolaso, nome evocato e concretizzato nella sua candidatura, da Forza Italia prima e Fratelli d’Italia poi. Il partito guidato dalla Meloni, però, non guarda di buon occhio quella candidatura e un nutrito gruppo della base romana dichiara il proprio appoggio per Storace, pur di non appoggiare Bertolaso. La Lega, avendo notato la situazione fluida che s’andava delineando, inizialmente opta per Bertolaso con riserve, poi critica il candidato e infine mette in dubbio la partecipazione stessa alle elezioni romane. In fondo, infatti, il progetto della destra nazionale – sia consentita l’espressione – di Salvini comprendeva una cooperazione molto stretta fra la sua organizzazione politica e Fratelli d’Italia, assieme alle associazioni Sovranità (CPI) e Noi Con Salvini. La questione, dunque, avrà un suo sviluppo nelle prossime ore e nei prossimi giorni dal momento che, se i candidati dovessero confermarsi, salterebbe il progetto nazionale di Salvini e forse anche il tandem Sovranità – Noi con Salvini alle prossime elezioni comunali di Roma.
La conclusione, dunque, riporta alla domanda iniziale: al momento, nessuno sembra intenzionato ad addossarsi la responsabilità di governare Roma né di tirare fuori un nome che sia vincente o, quantomeno, emanazione d’una personalità forte che sia in grado di prendere le redini d’una città allo stremo, sotto tutti i punti di vista, come Roma.
E chissà che l’ipotesi di Cicchitto enunciata nel novembre scorso prima riportata non possa realizzarsi al ballottaggio…