Nel 3 febbraio 1796 Giovanni Maria Angioy fu mandato dal Viceré Filippo Vivalda nella qualità di Alternos per sedare i tumulti del capo settentrionale dell’isola e specialmente nel Logudoro, dove più di 40 villaggi si erano confederati per sovvertire il feudalesimo. Ma egli, constatate le condizioni delle popolazioni in rivolta, prese le difese di queste. Tra le popolazioni rivoltose vi era il villaggio di Bono, paese natio dell’Angioy.
Così il vicerè emanò due pregoni, uno per richiamare i villaggi all’ubbidienza, l’altro per rivolgere le armi contro lo stesso Angioy, mettendo a prezzo la sua testa. Questi pregoni furono mandati per affiggersi nei villaggi sollevati. Si affissero, di fatto, anche in Bono nel 20 giugno, ma furono strappati e bruciati nel piazzale della chiesa suonando le campane a festa.
Venuto meno nel suo proposito, il Viceré creò una commissione militare guidata dai cavv Guiso, Musso, Delrio e da Efìsio Pintor Sirigu, detto “Pintoreddu” che partì da Cagliari il 10 maggio del 1796 per assoggettare colla forza i villaggi sollevati.
La spedizione punitiva, un misto di militari a cui si unirono ladri e delinquenti ai quali era stata promessa la grazia qualora avessero aiutato a sedare la rivolta in atto, arrivò nella zona di Bono da Ozieri il 18 luglio 1796, prese possesso nelle immediate vicinanze del colle della chiesa di San Raimondo, localizzando il quartier generale e i due cannoni al seguito nel piazzale della chiesa stessa, dominante il centro abitato, ma esterna allo stesso.
Intanto i bonesi, la sera stessa nella quale era giunta la commissione composta di 600 uomini tra truppe e miliziani, avevano tenuto un consiglio e considerata che la forza dei regii era imponente venne presa la decisione di abbandonare il villaggio, rifugiandosi alla falda della montagna da dove potevano spiare l’andamento della truppa.
I bonesi nell’abbandonare il villaggio lasciarono le case vuote. Restò sola una donna paralitica, Ambrogia Soddu, che non potè fuggire con gli altri, né la poterono portar con loro, persuasi che i nemici non avrebbero offeso una donna innocua nello stato che si trovava, ma essa fu dai soldati barbaramente uccisa dopo averne saccheggiato la casa.
Nel giorno 20 alle sei di mattina le truppe ed i miliziani entrarono nel villaggio senza resistenza, mentre dal piazzale di San Raimondo si faceva fuoco contro i bonesi che si erano ritirati alla falda del monte da dove rispondevano cogli schioppi sardi e si dice che ferirono molti dei regii.
Intanto veniva saccheggiato il villaggio, sfasciando e rubando tutto ciò che poteva essere trasportato, abusando dei cibi e del vino prelevato dalle cantine. Bevettero al punto che tanti dei miliziani restarono ubriachi per le strade. Una parte di loro invece spogliate tutte le case, togliendosi quanto di buono e di valore trovarono dentro, ripartirono carichi di bottino.
I bonesi intanto stavano sempre alle vedette, aspettando l’occasione di piombare sopra il resto della commissione. La sera del 20 i capi spedizione, partirono verso Ozieri, seguiti dalle truppe e disposero l’accampamento per passare la notte sotto Benetutti, a circa tre chilometri dal villaggio.
Fu allora che i bonesi scesero dalla montagna e inseguirono le truppe raggiungendole nel campo di Anela. Si avventarono d’improvviso contro i soldati, e la prima cosa che fecero fu d’impossessarsi dei cannoni che furono portati in trionfo e collocati nel piazzale della chiesa di San Raimondo.
Così i bonesi per ricordare ai posteri l’impresa, istituirono fin da quell’anno 1796 una festa a San Raimondo, alla quale prende parte il popolo con somma allegrezza, e con tripudio.