La pioggia fuori si faceva via via più pungente mentre la sala d’aspetto del pronto soccorso si riempiva di vari esempi d’umanità. Di tanto in tanto lo squillare del campanello richiamava l’attenzione della guardiola interna. Tutto sommato era una notte piuttosto tranquilla. Nessun infarto, nessuna amputazione, nessun corpo dilaniato da un incidente d’auto o dita accarezzate dolcemente da qualche frullatore elettrico italiano Made in China.
All’interno, il turno di notte iniziava a prendere vita, come al solito, stancamente, senza particolari scossoni. Ad eccezione di un dettaglio. Il pronto soccorso è sempre meno un pronto soccorso. Tutto qui. Progressivamente si sta involvendo in un ricovero, in un parcheggio over settanta più o meno temporaneo.
“Non c’è più nessuno qui. Cazzo, non c’è rimasto nessuno. Solo ausiliari, nessun OSS” – esclama indolente un infermiere, col tipico tono rassegnato di chi ripete ogni notte le stesse sterili affermazioni.
In realtà, ha perfettamente ragione. I ridimensionamenti in nome del risparmio e dell’efficienza si sono fatti sempre più significativi e ora si avvertono in tutta la loro durezza. Seppur necessaria, s’intende. Le strutture nei reparti tradizionali sono largamente sottodimensionate e di pari passo lo è il personale che lavora nelle stesse corsie. Il pronto soccorso si è quindi adattato di conseguenza, trasformato in un piccolo reparto mentre le stanze che un tempo venivano adibite ad osservazione momentanea dei pazienti divengono il parcheggio che alla bene meglio ospita disgrazie di varia entità, con l’esclusiva del tempo indeterminato, status considerato ormai in maniera diametralmente opposta rispetto all’agognare del personale largamente precario. Bizzarra l’esistenza.
Tutto si regge in un equilibrio piuttosto fragile, il cui fulcro è la professionalità e l’umanità del personale infermieristico che ciclicamente s’adopera per rendere la ricerca dell’efficienza meno incisiva sulle vite malate che loro malgrado condividono il destino che la Natura riserva a tutti. Indistintamente, prima o poi. La Natura è realmente democratica, realmente equanime, ma il modo in cui nella società le disgrazie vengono sofferte da alcuni rispetto ad altri non ha nulla di naturale o democratico o equo. I ridimensionamenti non si sono difatti avvertiti nei comodi uffici dirigenziali o nelle argentate sale da pranzo dei membri dei consigli d’amministrazione delle industrie farmaceutiche.
Dalla piccola stanza d’osservazione provvisoria provengono lamenti e litanie continue, a tratti snervanti. Il che dovrebbe far capire quanto l’operato più delicato all’interno di un sistema, quelle attività di chi si occupa degli ultimi, degli indigenti, dei malati, viene considerata meno degna di remunerazione rispetto a chi pone sistematicamente gli ultimi, gli indigenti e i malati nelle peggiori condizioni possibile. Odorare piscio e diarrea, profumi fetidi, muco, rimuovere cateteri sono compiti nobilitanti, moralmente degni. Fino a quando vengono svolti da altri, ovviamente. Fino a quando la loro controparte economica non finisce sul nostro corrente. A quel punto sarebbe un efficiente sfruttamento, efficiente ma pur sempre sfruttamento.
Il giorno successivo il gruppo dei malati precari si allarga. Precari nel senso che almeno ufficialmente il loro nome non compare sotto la dicitura “ricovero” su qualche apatico fascicolo amministrativo. Una signora dall’età non ben definita si aggiunge alla squadra degli ultimi in classifica in lotta per la salvezza nel girone di ritorno della loro vita. E poi un’altra. Se meno di 20 metri quadrati tra camera e bagno sono appena sufficienti per due, figuriamoci per quattro. C’è bisogno di ridimensionare il ridimensionato e quindi una seconda stanzetta viene preparata per ospitare il maschio del gruppo in modo da formare una triste e approssimativa miniatura di un ortodosso reparto di medicina. L’efficienza inizia così a prendere forma.
Tempo poche ore e un quinto si aggiunge al vecchio derelitto piazzato in una delle due stanze. Probabilmente s’annoieranno anche se qualche rischio di certo non manca. Il nuovo arrivato è di gran lunga più giovane del suo compagno di stanza, ma questo non impedisce ai postumi delle radiazioni imbottite nei suoi tessuti dalla chemioterapia di farsi sentire in modo sufficientemente devastante, nonostante la mascherina bianco latte ostenti grandi garanzie di protezione agli occhi di chi lo circonda e lo guarda con un po’ di dovuta – diciamolo pure – reticenza.
Tra i profumi del caffè provenienti dalla cucina della guardiola e le voci degli infermieri che ripassano i contenuti dell’esame che dovrebbe elevarli nella gerarchia sanitaria, i lamenti notturni scandiscono l’incedere della notte nelle stanze buie, l’aria inizia a farsi viziata e in lontananza il soffio metallico degli F35 – intenti a garantire l’amata sicurezza sociale – spacca la notte sfrecciando a bassa quota.